I venti contrari alla barca di Francesco

Mia sorella amava la musica, soprattutto quella operistica, e si avventurava volentieri in discussioni sugli interpreti melodrammatici. Un giorno stava assistendo ad un interessante dialogo fra due persone da lei conosciute: una era un carissimo suo amico, l’altra un semplice conoscente. Come era solita fare, non si tenne in disparte, ma si lanciò nel dialogo.  Venne stoppata da una pregiudiziale piuttosto altezzosa. Il soggetto, che non la conosceva più di tanto, chiese all’altro: «La signorina è competente?».  Solo dopo aver ottenuto rassicurazioni, lo scettico interlocutore ammise mia sorella al dialogo e riprese la discussione. Se esiste una materia in cui non ci si può improvvisare cultori e/o intenditori, questa è la musica. Figuriamoci la religione, che ormai è diventata materia di attenzione (fin qui niente di male, anzi), ma soprattutto di contrapposizione culturale e financo politica, con al centro del contendere l’attuale pontefice, papa Francesco, diventato suo malgrado una sorta di prezzemolo nella gastronomia pseudo-cattolica. Di lui parlano, spesso a vanvera, molti commentatori, giornalisti, scrittori: sono diventati tutti vaticanisti, specialisti della dietrologia cattolica, osservatori implacabili della vita della Chiesa alla luce della guida papale.

All’interno della Chiesa si sta facendo sempre più strada un pensiero reazionario e conservatore, ostile a Francesco, alla sua impostazione pastorale, al suo modo di interpretare il Vangelo, alla sua vena innovatrice e progressista: si arriva a considerarlo un eretico con tanto di atti di accusa altolocati. Le critiche al papa arrivano anche dall’altro campo, quello dei novatori, che collezionano ed ostentano delusioni in varie materie assai calde, dal celibato sacerdotale, al ruolo della donna nella Chiesa, dalla comunione ai divorziati ai problemi legati alla sessualità, dalle troppo timide riforme dell’apparato curiale all’eccessiva prudenza dopo una iniziale illusoria spinta. A livello politico è in atto da parte della Lega un vero e proprio attacco in nome della difesa della identità cattolica rispetto all’apertura agli immigrati, volto a connettere il ritorno politico ai simboli ed ai principi del passato con la ripresa della tradizione religiosa. Al di là degli sbracati e triviali atteggiamenti salviniani, il discorso è molto sottile, subdolo e pericoloso, e punta alla saldatura passatista tra politica e religione.

È destino dei grandi non essere collocabili in schemi precostituiti e quindi anche papa Francesco sta finendo per scontentare, a livello culturale, un po’ tutti. D’altra parte si tende a sovraesporlo, facendo coincidere impropriamente e pedissequamente la Chiesa con il Papa, dimenticando che essa non è il papa, ma una comunità di cui Francesco è solo l’autorevole guida. La sua popolarità poi lo mette al centro del circuito mediatico, nella posizione ideale per chi vuole colpirlo, anche a tradimento. È un papa scomodo, che va attenzionato e interpretato con gli occhi della fede e alla luce del dettato evangelico. In questo senso va difeso dalle bordate strumentali e dai consensi superficiali. Lasciamogli fare il papa, anche perché, tutto sommato, se la sta cavando assai bene, ha tanta gente che gli vuole sinceramente bene, ha lo Spirito Santo in poppa e chiede umilmente e continuamente il sostegno della preghiera dei credenti. So benissimo che sta toccando nel vivo del potere vaticano, sta camminando su un terreno minato, non sta giudicando nessuno ma scontentando molti, sta cercando di essere nel mondo ma non del mondo. Seguo il suo papato con grande ammirazione, sincera preoccupazione, enorme speranza e con un irrinunciabile pizzico di sana e costruttiva critica.

Ho iniziato con mia sorella e termino nostalgicamente con lei (riportando un passaggio del libro che ho a lei dedicato). La storica sera, in cui papa Francesco, appena eletto, si presentò, con atteggiamenti e simbologie rivoluzionari, sulla balconata di S. Pietro, ero davanti al video in compagnia di mia sorella Lucia. Eravamo entrambi convinti che fosse successo qualcosa di grande per la Chiesa cattolica. Questa volta lo Spirito Santo era arrivato in tempo. Io trattenevo con difficoltà le lacrime per l’emozione, Lucia era entusiasticamente propensa a cogliere finalmente il “nuovo” che si profilava. Erano gli ultimi mesi di vita di Lucia, che però trovavano esistenziale e incoraggiante riscontro, al livello più alto, di un cristianesimo vissuto sempre con l’ansia della novità che squarcia il dogmatismo, della scelta a favore dei poveri, del rispetto della laicità della politica, del protagonismo femminile. Se fosse ancora in mezzo a noi, sarebbe interessatissima e potrebbe esprimere giudizi attendibili. Sì, perché di fede, così come di musica, se ne intendeva assai.