Alle calende italiane

Nella immancabile dietrologia politica si sta insinuando un dubbio: Carlo Calenda e Matteo Renzi starebbero scaldando i muscoli per poi tuffarsi nella tiepida piscina del cosiddetto e non meglio precisato centro moderato. Il primo sarebbe quindi tatticamente sceso in campo a fianco del PD in vista delle elezioni europee solo per tastare il terreno in vista di una partita ben più strategica e impegnativa: quella di formare un polo di riferimento centrale per quanti vogliono tornare alla politica del buonsenso collegata ai fatti. Il secondo starebbe momentaneamente in disparte a leccarsi le ferite, per poi ripresentarsi “più bello e più superbo che pria” a riprendere il suo disegno interrotto bruscamente dalla sconfitta al referendum costituzionale. Due galli nel pollaio di riserva, pronti a saltabeccare nel vero pollaio del post governo gialloverde. Uso volutamente, come ormai fanno quasi tutti gli editorialisti di grido, un periodo sospeso, nel vuoto di una ipotesi piuttosto campata in aria.

La (im)possibile strategia alternativa partirebbe da due considerazioni. In Europa segna il passo la tradizionale contrapposizione-collaborazione fra popolari e socialisti: i primi spinti dal popolarismo al populismo nel vortice dell’aria nazional-sovranista, che soffia dappertutto; i secondi, in crisi di identità e di consensi, non sarebbero né carne né pesce. In Italia si sente la necessità di recuperare la politica alla società, visto che ha preso la strada della prevaricazione sulla società.

Ed allora ecco la possibilità di scompigliare gli schieramenti proponendo un bagno di sano (?) pragmatismo: la democrazia cristiana era un partito interclassista nel senso che tendeva a mediare gli interessi delle categorie facendone la sintesi politico-programmatica, questo nuovo ipotetico partito sarebbe molto meno ambizioso sul piano ideologico e sociale (non dimentichiamo però che la DC aveva una forte ispirazione ideologica cristiana) e molto più attraente dal punto di vista della concretezza (non dimentichiamo però che la DC sapeva governare i processi evolutivi e non si limitava a registrarli).  Un nuovo partito di centro, che guarderebbe a sinistra, ad un PD dimagrito e spaesato, e che raccoglierebbe i cocci moderati e raziocinanti di un berlusconismo alla canna del gas.

In Europa sarebbe, grosso modo, il disegno macroniano, quello di prosciugare l’acqua dove nuotano i pesci rossi, verdi e gialli. In Italia l’intenzione di prepararsi alla terza repubblica in contrapposizione, mentale prima che politica, al salvinismo dilagante. Non so se siamo nella fantapolitica, ma ho la netta impressione che qualcosa tocchi: troppo facile per essere vero. È obiettivamente pericoloso il disgustoso ritorno alle ideologie provocato velleitariamente dall’euroscetticismo sovranista e dal nazionalismo populista. Come rispondere a questa inaccettabile rifondazione della politica? Passando dal destrorso supermarket ideologico al tradizionale negozio dei prodotti di alta qualità? Oppure ritornando alla produzione, coltivando il terreno dei valori da cui nasce la Repubblica italiana e la stessa Unione europea? Sono perfettamente consapevole che il Partito democratico si stia rinchiudendo nel recinto burocratico, stia tornando nella foresta dei richiami nostalgici, stia rincorrendo una identità con lo sguardo al passato che non torna più. Non vorrei però che per fare un dispetto alla moglie sdegnosamente recalcitrante verso il letto post-ideologico, ci si tagliasse il membro valoriale, l’unico capace di ottenere l’erezione della politica.