Toccata e fuga ratzingeriana

Come acutamente ricorda il teologo Marco Ronconi, nella sua rubrica sul mensile Jesus, in merito alla crisi degli abusi sessuali, “dopo aver catalogato la questione come «attacco alla Chiesa», sono seguiti sinceri mea culpa, accompagnati da un aumento dell’intransigenza e dall’ulteriore accentramento di poteri nella Curia romana. Ora siamo alla terza fase: la riforma dell’intero sistema”.

Mentre, come sostiene lo stesso papa Francesco, si sente la necessità che la conversione dell’agire ecclesiale coinvolga la partecipazione attiva di tutte le componenti del popolo di Dio, superando il clericalismo ancora assai presente nella mentalità e nell’atteggiamento di sacerdoti e laici, nel dibattito è intervenuto con grande maestria ma con una visione storica discutibile il papa emerito, Benedetto XVI.

Joseph Ratzinger, fin dall’ultimo periodo in cui ricopriva la carica di capo del Sant’uffizio, ha dimostrato di vivere con grande realistica sofferenza il fenomeno della pedofilia nella Chiesa, ritenendolo un fatto gravissimo e rovinoso, probabilmente anche alle origini della sua decisione delle dimissioni da papa. A distanza di alcuni anni, pur rispettando in modo esemplare la riservatezza consona a un ex papa, pur dimostrando sempre una grande lealtà e una profonda solidarietà verso il suo successore, torna sull’argomento degli abusi sessuali per inquadrarlo nella storia della progressiva decadenza morale iniziata negli anni sessanta del secolo scorso, che, a suo giudizio avrebbe provocato “un collasso della teologia morale cattolica”, rendendo inerme la Chiesa di fronte a questi processi della società.

Ho leggiucchiato il testo (meriterebbe un più attento ed approfondito esame, che magari cercherò di effettuare) pubblicato da diverse testate straniere nel quale Ratzinger torna ad intervenire pubblicamente su un tema di attualità della Chiesa con un’analisi dotta, ma sostanzialmente reazionaria: a caldo, la tesi di fondo mi sembra quella di collegare la crisi morale della Chiesa al pedissequo adattamento ecclesiale alle rivoluzioni culturali della società. Da una parte riemerge cioè la tentazione di scaricare le colpe ideologiche sul mondo e dall’altra quella di rifugiarsi in un passato rigoroso ma avulso dalla realtà in evoluzione. Non voglio esagerare, ma sembra quasi una risposta indiretta all’accusa rivolta alla Chiesa dal cardinal Martini “di essere indietro di centinaia di anni”: le istanze umane non dovrebbero cioè condizionare la teologia morale cattolica.

Faccio un esempio. Ratzinger, in riferimento al tema della preparazione al sacerdozio, denuncia una decadenza a partire dagli anni sessanta: «In vari seminari si erano stabiliti gruppi omosessuali che agivano più o meno apertamente ed hanno significativamente cambiato il clima dei seminari. In un seminario in Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati al ministero laico della pastorale vivevano insieme. Mangiavano insieme, sacerdoti e laici sposati accompagnati dalle mogli e dai bambini o occasionalmente dalle fidanzate. Il clima nei seminari non poteva fornire sostegno alla preparazione della vocazione sacerdotale. In molte parti della Chiesa gli atteggiamenti conciliari sono stati compresi nel senso di avere un atteggiamento critico nei confronti della tradizione esistente, sostituita da una relazione nuova e radicalmente aperta con il mondo».

Sono spiacente, ma credo che il malaffare sessuale dei preti abbia esattamente l’origine inversa rispetto a quella delineata da Benedetto XVI: è stata proprio la frattura col mondo degli affetti, col mondo femminile, con le problematiche sessuali, a costringere i chierici a vivere la sessualità in modo represso e fuorviante. Impossible che Ratzinger non ricordi il clima assurdo che vigeva nell’educazione seminariale a detta di parecchi sacerdoti: il sesso esorcizzato, la donna diavolo tentatore, i divieti spersonalizzanti, le tentazioni deviate sul binario morto dell’asessualità convenzionale.

Al di là del discorso sessuale mi sembra inoltre che l’analisi ratzingeriana affronti in senso negativo il rapporto fra Chiesa e mondo. È pur vero che Gesù prega per i suoi discepoli affinché siano “nel mondo, ma non del mondo”. Benedetto XVI sembra avere nostalgia dei tempi in cui la Chiesa dominava intellettualmente e culturalmente il mondo e, in alternativa sembra auspicare una sorta di fuga dal mondo per non farsi contagiare. Purtroppo è la Chiesa che ha, in troppe occasioni, infettato il mondo in uno scambio di difetti in cui non si riesce a capire se è nata prima la gallina del male ecclesiale o l’uovo del male mondano. A mio avviso se ne esce guardando al bene e scambiandosi apertamente il bene: considerando la sessualità un dono di Dio da vivere al meglio, senza paure ed infingimenti. Mi auguro che si apra quindi la terza fase di cui sopra e non ci si rifugi, seppure in buona fede e con ammirevole intelletto, nei meandri della paura e del rimpianto.