Scontrini e riscontrini

Tanto tuonò che, dopo quattro anni, non piovve. Ignazio Marino, sindaco di Roma, costretto alle dimissioni in conseguenza di accuse di peculato e falso per la vicenda degli scontrini delle cene di rappresentanza, è stato assolto in via definitiva dalla Corte di Cassazione “perché il fatto non sussiste”. Lo stesso pg della suprema corte aveva sollecitato l’assoluzione.

“Finalmente oggi è stato restituito l’onore che merita al professor Marino, ha affermato il suo legale, sono contento che il procuratore generale abbia integralmente sposato la nostra tesi difensiva e abbia ricordato a noi tutti l’autonomia della valutazione giuridica, il che vuol dire che il giustizialismo politico deve rimanere fuori dalle aule dei tribunali”. Ben detto, ma il giustizialismo dovrebbe rimanere fuori anche dai palazzi del potere politico e dalle pubbliche istituzioni. Invece purtroppo i giudizi politici troppo spesso si mescolano con fatti giudiziari tutti da dimostrare e vagliare, con la conclusione di squalificare moralmente e politicamente le persone.

L’allora sindaco della capitale, prima delle sue dimissioni nell’ottobre del 2015, si difese in tutte le sedi e con forza: “Non ho mai usato denaro pubblico per miei fini personali, semmai il contrario”. Ma non bastò e fu chiamato a pagare un prezzo, che, a distanza di quasi quattro anni, è stato dichiarato infondato e ingiusto.

I grillini, a parte che l’attuale sindaco Virginia Raggi, di loro espressione, usando lo schema adottato per Marino, avrebbe già dovuto dimettersi più di una volta, girano la frittata, sostenendo che “Marino fu attaccato e criticato non per le questioni della Panda o degli scontrini, ma per la sua incapacità di amministrare Roma. Marino aveva fallito ed eravamo tutti d’accordo che dovesse andare a casa, da Renzi in poi”. E le arance portate in Consiglio comunale?

Anche Matteo Orfini, l’ex presidente del Pd con Matteo Renzi segretario, fa un capzioso distinguo: “Ribadiamo, come abbiamo già fatto dopo le sentenze di primo e secondo grado, che ovviamente siamo contenti per lui, ma, come spiegammo allora, quella degli scontrini è stata una vicenda che nulla aveva a che fare con una scelta che facemmo per un giudizio politico”. Fatto sta che il giudizio politico, guarda caso, arrivò dopo lo scatenamento della bagarre pseudo-giudiziaria contro Marino e nella pubblica opinione passò il concetto di un sindaco più scorretto che incapace. La questione sta infatti tutta nel saper scindere nei tempi e nei modi i giudizi politici da quelli della magistratura e lasciando che i secondi influenzino i primi soltanto nel momento giusto e non al primo avviso di garanzia. Il discorso vale anche per le gogne mediatiche che accompagnano queste vicende. La storia politica è sì piena di farabutti prestati alla politica, ma anche di galantuomini sputtanati e rovinati da incaute accuse giudiziarie. Sia chiaro che non si evitano i suddetti primi eventi costruendo surrettiziamente i secondi.

In conclusione: una bruttissima vicenda. Ignazio Marino pagò per atti non commessi, per un clima di sfiducia risalente ai suoi predecessori, per questioni di opportunità politica, per la smania di voltare pagina senza lasciare il tempo di scriverla. Ricordo molto bene di avere avuto dubbi sull’azione amministrativa intrapresa da un personaggio certamente più adatto a svolgere altri ruoli e ad assumere altre responsabilità. Di qui a dimissionarlo brutalmente ci passa molta strada. Per fortuna l’attuale segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha così commentato la fine della vicenda: “Sono davvero contento per l’assoluzione di Ignazio Marino. Il tempo è galantuomo e con questa sentenza definitiva della Cassazione si chiude la sua vicenda giudiziaria riconoscendo la giusta correttezza della sua azione di governo. Lo abbraccio”.