La Resistenza in cantina

Nemmeno il 25 aprile riesce a dare un minimo di compattezza all’attuale governo e tutto sommato è un bene: tutto il mal non vien per nuocere. È brutto doverlo ammettere, ma nella maggioranza parlamentare che sta guidando il Paese si annidano alcuni importanti e ben identificabili germi antidemocratici e tipici dei regimi da cui ci siamo liberati (?) nell’aprile del 1945.

Il sovranismo non è forse l’anticamera o la cantina del nazionalismo di più vecchia data? Il populismo non è un dato comune e costante dei regimi autoritari e il fascismo in Italia non andò al potere proprio sfruttando il malcontento qualunquistico che serpeggiava nella gente e che non trovava sbocchi politici convincenti nelle forze democratiche? Lo strisciante esorcismo contro il fenomeno migratorio non è una moderna e camuffata espressione di razzismo?

Come la mettono con questi evidenti segni di nostalgia quanti, pur provenendo ideologicamente, culturalmente, socialmente e politicamente dall’antifascismo e dalla Resistenza, votano bellamente Lega e M5S, che dei suddetti agenti patogeni sono portatori più o meno sani? Non voglio esagerare, ma come si sentirà chi ha dato la propria vita per combattere il nazifascismo di fronte al tradimento più o meno consapevole di coloro che si lasciano incantare dai serpenti? Possibile che dopo quasi settantacinque anni le coscienze siano talmente obnubilate da far prendere le lucciole pentaleghiste per lanterne democratiche?

Anche le recenti scaramucce tra Leghisti e Pentastellati in vista delle celebrazioni della liberazione non sono affatto convincenti, lasciano il tempo che trovano, puzzano di strumentale lontano un miglio: non so se sia più eloquente la ritrosia salviniana all’ufficialità delle manifestazioni o la frettolosa e distratta adesione dimaiana alle stesse. Sono le due facce di una stessa medaglia che non ha nulla a che vedere con la nostra difficile e mai terminata storia di positiva affrancatura dal nazifascismo. Litighino pure anche sui presupposti della nostra democrazia, dove ci sta il più ci sta anche il meno.

Insisto nel chiedermi come possa votare Lega un anziano combattente partigiano o un suo erede in linea retta, come possa buttarsi nelle braccia grilline un socialista o un cattolico che legga la storia del nostro Paese, come si possa gettare nella latrina il bambino dell’antifascismo assieme all’acqua sporca della democrazia corrotta e imperfetta.

Urgono due drammatici esami di coscienza: da parte di quanti portano la gravissima responsabilità di avere, strada facendo, deviato dal solco resistenziale e costituzionale, dando magari per scontato il patrimonio ideale accumulato col sangue della lotta di liberazione e andando di fatto e con molta leggerezza in libera uscita rispetto al “fortino” democratico; da parte di coloro i quali stanno scherzando col fuoco pentaleghista magari per punire  quanti hanno sprecato la spinta ideale e tradito il bene comune per fornicare con gli affaristi e con gli opportunisti sempre in agguato.

Dopo la confessione delle proprie colpe, c’è la penitenza da fare. Propongo la rilettura meditata delle lettere dei condannati a morte della Resistenza. Se aspettiamo che questa ricetta ce la ordinino gli attuali stregoni e mediconi, patetici duellanti di fronte alle sacrosante celebrazioni della Liberazione, facciamo in tempo a perdere quel po’ di democrazia che ci resta e che dobbiamo difendere con le unghie e coi denti.