La rabbia è tanta, la politica poca

Quante volte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha suonato l’allarme per il clima sociale rancoroso che sta avvelenando i rapporti fra i cittadini italiani. Questi contrasti configurano talora una vera e propria guerra fra poveri. Un focolaio è esploso nei giorni scorsi a Roma, a Torre Maura, dove si è scatenata la rabbia contro l’arrivo dei rom con manifestazioni volte ad una minacciosa protesta contro il trasferimento di famiglie di etnia rom in un centro di accoglienza sito in un quartiere periferico.

Le immagini televisive hanno documentato un atteggiamento di intolleranza preoccupante, sintomo di un profondo disagio sociale, che, come spesso accade, si sfoga su persone sgradite, ma non per questo responsabili del clima di degrado e di abbandono in cui languono certe periferie. “Quei bastardi devono bruciare” urlava la folla inferocita, che ha dato fuoco ai cassonetti, a una macchina di servizio degli operatori del centro di accoglienza ed ha innescato una guerriglia urbana, direttamente o indirettamente istigata da forze di estrema destra sostenitrici della protesta dei residenti esasperati dalla mancanza di servizi e dal degrado di questa zona abbandonata a se stessa.

Esistono responsabilità per quanto sta accadendo? Certamente da parte degli amministratori locali: potevano almeno dialogare con la popolazione per spiegare quella decisione. Non è facile incontrare queste persone, me ne rendo conto, ma un amministratore deve avere il coraggio di farlo per ascoltare le lamentele, per poi intervenire fin dove possibile e per evitare assurde e penose contrapposizioni frontali tra chi soffre di emarginazione sociale. Invece si fa sfoggio di decisionismo per rimangiarselo immediatamente e procedere al ricollocamento di quel gruppo di rom sballottati da un posto all’altro come si fa con i rifiuti più ingombranti.

Durante la mia esperienza di presidente di quartiere mi capitò di incontrare gli abitanti di un palazzone degradato: un piccolo ghetto. Ne ascoltammo le sacrosante ragioni, anche se non avevamo potere e mezzi di intervento, ma ci facemmo carico di presentare all’amministrazione comunale le istanze di questa povera gente. Volendo, si riesce a dialogare anche con persone piuttosto infuriate: basta presentarsi con umiltà, ammettere le proprie responsabilità e concordare una relativa via d’uscita. Per quanto ricordo fu forse la più bella, seppur difficile, esperienza come operatore pubblico nella vita di un quartiere.

Ci sono anche altre responsabilità: c’è chi politicamente soffia sul fuoco e strumentalizza vergognosamente rabbia e paura; c’è chi avvalora un clima politico generale di egoismo conflittuale e incendiario nelle situazioni più clamorosamente connotate dalla povertà e dal disagio. Ricordo che in quel citato incontro, io, presidente democristiano, ebbi al mio fianco un autorevole e impegnato esponente comunista, che seppe coprirmi le spalle con la sua credibilità dialogante: era il grande e indimenticabile Mario Tommasini, che non si stancava di spiegare e rispiegare il da farsi, accettando anche le più forti critiche al limite dell’insulto. Si fa così: non c’è alternativa. Purtroppo la sinistra ha perso questo potere di rappresentanza e di filtro verso questi gruppi di emarginati. La sinistra non ha più il contatto con le frange del moderno “sottoproletariato” (con tutto il rispetto possibile e immaginabile per i gravi problemi di queste persone) e lo spazio lo stanno coprendo gli estremisti di destra a livello locale e i qualunquisti giallo-verdi a livello nazionale.

Prima o poi anche Virginia Raggi, la sindaca grillina di Roma, dovrà pur rendere conto del suo operato e della sua incapacità di gestire queste situazioni estreme, ma piuttosto diffuse, di marginalità sociale. È comodo pontificare con l’antipolitica, cavalcare la protesta, proporsi come il nuovo che avanza, lasciando indietro gli ultimi della pista a “scancherare” contro i rom, che non c’entrano niente.  Diamoci una mossa prima che sia troppo tardi, perché la democrazia si perde anche così.