La giustizia distratta che può distruggere

Non provo alcun piacere nel sapere che una persona condannata è in carcere a scontare la sua pena, anzi mi prende un senso di sconfitta personale e sociale e una forte angoscia per tutti coloro che sono direttamente coinvolti nella vicenda. Ho un’idea di giustizia riparatrice e non vendicativa.

In questi giorni è venuta però a galla una notizia piuttosto sconvolgente:  Said Mechaquat, che ha confessato di aver ucciso con una coltellata alla gola Stefano Leo nel lungo Po a Torino con un paradossale movente psico-patologico (era felice e per questo l’avrebbe punito), doveva essere in carcere per scontare una pena a cui era stato condannato con sentenza definitiva (un anno e sei mesi per maltrattamenti e lesioni aggravate ai danni della ex compagna), mai eseguita per un ritardo o per un errore materiale. La cancelleria della Corte d’Appello presso cui la condanna era diventata esecutiva avrebbe dovuto trasmettere l’informazione alla Procura ordinaria, che, a sua volta, avrebbe dovuto dare corso all’ordine di carcerazione. La comunicazione non è partita e la carcerazione non è avvenuta.

Il tutto sarebbe da imputare alla mancanza di personale negli uffici giudiziari o comunque ad un disguido di carattere burocratico. Il giudice della Corte d’Appello di Torino ha chiesto scusa alla famiglia Leo non per una manchevolezza della Corte, ma per un disguido successivo all’emanazione della sentenza. Probabilmente il Ministero aprirà un’inchiesta per capire cosa sia successo. Fatto sta che, con ogni probabilità, se le cose avessero funzionato, il potenziale assassino sarebbe stato in carcere e di conseguenza Stefano Leo sarebbe ancora in vita. La storia non si fa con i “se”, ma in questo caso clamoroso non si può evitare di recriminare. È pur vero che la furia omicida si sarebbe potuta scatenare successivamente per colpire altri eventuali soggetti, resta comunque l’ulteriore sgomento per un caso già incredibile e sconvolgente. Piove sul bagnato della disgraziata sorte di Stefano Leo e sulla disperazione dei suoi parenti.

L’errore è purtroppo sempre possibile: la macchina della giustizia non è perfetta e presenta buchi enormi a tutti i livelli e in tutti i sensi. Siamo di fronte ad una delle carenze peggiori della nostra società. Penso che il caso Tortora sia lo spaventoso emblema di questa inquietante realtà. I giudici e tutti gli operatori della giustizia sono uomini e possono sbagliare. Mala giustizia e mala sanità sono però i buchi neri più difficili da accettare, perché toccano direttamente nel vivo della carne umana. Le carenze strutturali ed organizzative sono piuttosto evidenti e indiscutibili, temo però che ad esse si aggiunga una mancanza di etica professionale assai diffusa nella nostra società e che non risparmia gli ospedali e i palazzi di giustizia.

Non voglio scaricare colpe a destra e manca, non chiedo la ricerca del capro espiatorio, non è giusto colpevolizzare intere categorie, non intendo gettare la croce addosso a nessuno. Restando a sanità e giustizia spesso devo ammettere come non sarei personalmente in grado di reggere la responsabilità di un’operazione chirurgica e/o di un processo penale. Alcuni mi rispondono che ci si fa l’abitudine: ho i miei dubbi, anche se forse qualcuno ci fa un po’ troppo l’abitudine. Dobbiamo capire che dal nostro comportamento dipende, più o meno, la vita degli altri: se io svolgo male il mio lavoro, non solo rubo lo stipendio, ma innesco un circuito dannoso che tocca parecchi soggetti e può sfociare anche nel dramma e nella tragedia.

Tornando al discorso della giustizia, in questi giorni il Capo dello Stato, anche nella sua funzione di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ha messo in guardia i giudici rispetto all’influenza dei social media, strumenti che, se non amministrati con prudenza e discrezione, possono offuscare la credibilità e il prestigio della funzione giudiziaria e li ha richiamati ad un profondo rispetto della deontologia professionale e della sobrietà dei comportamenti. Tutti, dal Ministro all’usciere, trovino la volontà di migliorare la situazione. Per cortesia, non scherziamo col fuoco, anche perché prima o poi può colpire chiunque.