In aria coi piedi piantati in terra

Alle dichiarazioni ex cathedra, vale a dire le “infallibili” definizioni che il Papa dà in materia di fede e morale, ironicamente ridefinite ex fenestra dalla teologa Adriana Zarri negli anni sessanta (era una polemica ma interessante discussione sui facili pronunciamenti papali durante i discorsi dalla finestra del suo studio), preferisco gli ormai abituali discorsi “ex aereo” di papa Francesco. Durate i suoi viaggi di ritorno dalle scorribande intercontinentali è solito intrattenersi con i giornalisti e rispondere a ruota libera alle loro incalzanti domande.

Reduce da un breve ma simbolico viaggio in Marocco, ha lanciato un appello all’Europa sui migranti: «I costruttori di muri, siano di lame tagliate con coltelli o di mattoni, diventeranno prigionieri dei muri che fanno. Primo: cosa la storia dirà. Secondo: Jordi Évole, quando mi ha fatto l’intervista, mi ha fatto vedere un pezzo di quel filo spinato con i coltelli. Io dico sinceramente che mi sono commosso e poi, quando se ne è andato, ho pianto. Ho pianto perché non entra nella mia testa e nel mio cuore tanta crudeltà. Non entra nella mia testa e nel mio cuore vedere affogare nel Mediterraneo; mettiamo ponti nei porti. Questo non è il modo di risolvere il grave problema dell’immigrazione. Lo capisco: un governo, con questo problema, ha la patata bollente nelle mani, ma deve risolverlo altrimenti, umanamente. Quando io ho visto quel filo spinato con i coltelli, mi sembrava di non poter credere. Poi una volta ho avuto la possibilità di vedere un filmato nel carcere dei rifugiati che tornano, che sono mandati indietro. Carceri non ufficiali, carceri di trafficanti. Fanno soffrire…fanno soffrire. Le donne e i bambini li vendono, rimangono gli uomini e le torture che si vedono filmate lì sono da non credere. È stato un filmato fatto di nascosto, con i servizi. Ecco io non lascio entrare: è vero perché non ho posto, ma ci sono altri Paesi, c’è l’umanità dell’Unione europea, deve parlare l’Unione europea intera. Non lascio entrare o li lascio affogare lì o li mando via sapendo che tanti di loro cadranno nelle mani di questi trafficanti che venderanno le donne e i bambini, uccideranno o tortureranno per fare schiavi gli uomini? Questo filmato è a vostra disposizione. Una volta ho parlato con un governante, un uomo che io rispetto e dirò il nome, Alexis Tsipras. Parlando di questo e degli accordi di non lasciare entrare, lui mi ha spiegato le difficoltà, ma alla fine mi ha parlato col cuore e ha detto questa frase: “i diritti umani sono prima degli accordi”. Questa frase merita il premio Nobel. (…) Se l’Europa così generosa vende le armi allo Yemen per ammazzare dei bambini, come fa l’Europa a essere coerente? Poi c’è il problema della fame, della sete. L’Europa se vuole essere la madre Europa e non la nonna Europa, deve investire, deve cercare di aiutare, deve cercare intelligentemente di aiutare con l’educazione, con gli investimenti. È vero che un paese non può ricevere tutti, ma c’è tutta l’Europa per distribuire i migranti, c’è tutta l’Europa. Perché l’accoglienza deve essere con il cuore aperto, poi accompagnare, promuovere e integrare. Se un Paese non può integrare deve pensare subito di parlare con altri Paesi: tu quanto puoi integrare, per dare una vita degna alla gente. (…) Ci vuole generosità, bisogna andare avanti, ma con la paura non andremo avanti, con i muri rimarremo chiusi in questi muri».

Una semplice e spontanea lezione di etica, di umanità e…di politica. Il Papa ha risposto a chi liquida l’atteggiamento cristiano come mozione degli affetti, a chi relega la teoria dell’accoglienza a retorico buonismo; ha tolto ogni e qualsiasi alibi a coloro che si nascondono dietro il “prima noi poi loro”, dietro il “non si possono accogliere tutti”, dietro il “noi abbiamo già dato”, dietro le illusorie promesse di “rimpatriate migratorie” etc. etc. Il mio grande medico ed amico sosteneva in merito all’atteggiamento da tenere di fronte alle più gravi e difficili malattie: “Non c’è mai ‘niente da fare’…”. Vale anche per chi si chiude nell’egoistico e rassegnato “murismo” (in)umano e (im)politico verso gli immigrati.