Europeismo non è vintage

Mi considero un nano della politologia, ma mi permetto di essere d’accordo (quasi sempre) col gigante Massimo Cacciari. Ho introdotto questa metafora perché, durante un recente dibattito televisivo, a cui oltre al suddetto filosofo prestato alla critica politica, hanno partecipato anche l’ex ministro Carlo Calenda ed il giornalista e scrittore Massimo Franco, facendo riferimento alle forze in campo a livello europeo, si è fatta la distinzione tra i sovranisti-nani e gli europeisti-giganti a significare da una parte il velleitario rigurgito nazionalista vocato all’insignificanza e all’emarginazione economica a confronto con gli Stati potenti della terra, dall’altra parte la possibilità di entrare in gioco con una Unione europea più “federalizzata” che marci ad una velocità più spedita rispetto ai numerosi rallentatori e frenatori.

È questa la partita politica, probabilmente epocale, che stiamo vivendo e che avrà una tappa molto importante e delicata alle prossime elezioni europee: la prosecuzione della strada previo rafforzamento dei vincoli in senso federale e a costo di varare un viaggio a due velocità. Per l’Italia la sfida è quindi duplice: non solo rimanere in strada, ma aderire alla velocità rafforzata assieme ai Paesi più forti e convinti del cammino da effettuare.

Il dubbio atroce è se l’Italia, imprigionata nel penoso dualismo Lega-M5S, sia in grado di saltare sul treno ad alta velocità, ammesso e non concesso che passi, o si ripieghi sul trenino del sovranismo. Gli elettori sapranno capire la partita e schierarsi di conseguenza? Temo di no, perché quel poco di dibattito che è in corso rischia di essere fuorviante. I cittadini italiani ed europei devono capire che le emergenze non possono essere affrontate ed avviate a soluzione in una logica autonomistica o, peggio ancora, nazionalistica: il rilancio economico può avvenire solo con un’Europa unita e forte sui mercati; il problema migratorio può essere affrontato solo in un contesto europeo collaborativo e integrato; la sicurezza e la protezione sociale si conquistano in un clima di apertura e solidarietà.

Certo, come sostiene Massimo Cacciari, le istituzioni europee vanno riformate e rafforzate: non può reggere una Unione in cui le decisioni vengono adottate nel Consiglio d’Europa all’unanimità; non esiste un governo europeo con una Commissione costituita col manuale Cencelli in chiave nazionalistica; non è democrazia un Parlamento che gira a vuoto e rimane imprigionato negli schieramenti politici e nelle logiche della contrapposizione fra gli Stati membri. Molti criticano la buro-tecnocrazia europea dei poteri forti. Meno male che esiste una dirigenza tecnica di alto livello professionale ed esperienziale, altrimenti l’Europa sarebbe già finita del tutto. Nella mia modesta esperienza professionale ho sempre visto che i direttori comandano e governano i vari enti, quando i presidenti non contano niente.

Non è quindi il momento di sottilizzare e polemizzare. Turiamoci il naso sulle asfissianti polemiche interne, alziamo lo sguardo, apriamo la mente e il cuore per buttarlo oltre l’ostacolo, che si chiama euroscetticismo, e premiamo chi per storia, vocazione, idee e programmi concede un po’ di credibilità in senso europeista. Potrebbe bastare rileggere la storia degli inizi dell’Europa e farsi guidare da quei protagonisti ricercandone gli epigoni pur limitati e modesti.