Più falene che bachi…da seta

Gli affari sono affari. Però bisogna saperli fare e soprattutto non sbandierarli troppo. Enrico Mattei, fondatore e presidente dell’Eni, non si faceva eccessivi scrupoli politici, stipulava accordi petroliferi in barba alle sette sorelle, teneva rapporti economici con i Paesi sottosviluppati, usava i partiti politici come taxi, non si faceva condizionare dai canonici assetti internazionali, superava  certe barriere, ricercava e concedeva vantaggi economici senza andare troppo per il sottile: una figura meravigliosa di politico prestato all’economia e di manager indipendente (fino ad un certo punto) dalla politica.

In linea di principio non mi scandalizzo se il governo italiano sta trattando affari con la Cina, la cosiddetta “Nuova via della Seta”: miliardi di dollari di investimenti, 70 Paesi coinvolti, infrastrutture potenziate, scambi commerciali facilitati, cooperazione e comunicazioni sviluppate e irrobustite. Il discorso riguarda l’Italia per diverse ragioni: gli investimenti massicci compiuti dai cinesi nel Made in Italy per rafforzare il rapporto con le piccole e medie imprese nostrane; la necessità di far crescere l’export italiano verso la Cina; l’esclusivo rapporto di rispetto che la Cina nutre nei confronti dell’Italia e del suo passato; l’elevato debito pubblico che accomuna i due Paesi; il ruolo strategico per lo scambio commerciale che i porti di Genova, Venezia e soprattutto Trieste potrebbero ricoprire con la nuova via della Seta.

Gli Usa guardano con diffidenza a questa evoluzione nei rapporti economici con la Cina e temono un’influenza maggiore di Pechino negli equilibri mondiali. L’Europa, come al solito, è formalmente unita, ma ancora una volta fa emergere significative criticità e divisioni: alleata degli americani, ma attratta dalle prospettive commerciali con la Cina, istituzionalmente alla ricerca di politiche comuni mentre gli Stati membri puntano a fare accordi singoli con il governo cinese. Forse l’Italia sta esagerando e punta a firmare un memorandum di intesa con la Cina il prossimo 22 marzo, in occasione della visita a Roma del presidente Xi Jinping.

La Commissione europea chiude la stalla quando i buoi sono scappati. Ha infatti varato i “dieci comandamenti” dopo che ben 13 Paesi membri hanno firmato accordi. Si tratterebbe di rafforzare la cooperazione appoggiandosi ai tre pilastri: diritti umani, pace e sicurezza, sviluppo. L’Italia rischia di essere la pietra di uno scandalo da tempo in atto, perché ha deciso di piazzarsi sulla “via della seta”. In conclusione vengono spontanee tre riflessioni. Innanzitutto la Ue deve mettersi in testa di integrare veramente la sua politica smettendo i panni del censore a posteriori. In secondo luogo gli Usa di Trump la smettano di fare i furbi in giro per il mondo, pretendendo che gli alleati europei facciano la parte dei servi sciocchi. Il terzo luogo il governo italiano esca dalla caterva di ambiguità che lo connotano e lo costringono nella parte di Pinocchio alle prese con i grilli parlanti.

Non so se il memorandum che l’Italia si appresta a firmare con la Cina sia, come afferma ironicamente il ministro Tria, una tempesta nel bicchiere; non so se possa diventare lo scandaloso paravento degli incompetenti dietro cui si nascondono gli affari degli ipocriti. Il premier Giuseppe Conte dichiara: «Aderiamo con tutte le cautele necessarie: siamo un Paese inserito nell’Unione europea, siamo un Paese che è collocato in un’alleanza tradizionale e che ben conosciamo, euroatlantica, e rimaniamo collocati in questa prospettiva di alleanze. Semplicemente ci apriamo una strada molto interessante dal punto di vista commerciale. Quello che andiamo a sottoscrivere non è un accordo vincolante ma un quadro che ci consentirà poi di valutare le opportunità che si offriranno».

Sarà, ma non vedo l’Enrico Mattei della situazione, non vedo l’Amintore Fanfani capace di tirargli la giacca, non vedo il Giorgio La Pira che dava  respiro etico alle politiche internazionali trasgressive. Vedo un coacervo di nani americani, cinesi, russi, europei e italiani, che (s)ballano sulla scena mondiale.