La scombinata filiera educativa

Sono frequenti e ricorrenti gli episodi di violenza ai danni di bambini frequentanti gli asili. Non ho conoscenza degli esiti giudiziari delle procedure aperte a carico degli operatori e delle operatrici incolpate di tali reati e nemmeno della loro sorte professionale. Le cronache, come sempre, si fermano all’impatto iniziale, creano il solito allarmismo per lasciare poi a marcire il problema e mettere nel dimenticatoio i risvolti giudiziari.

Sta diventando un problema serio, anche se non riesco a capire se talora ci sia un po’ di esagerazione: stando ai riscontri documentali, costituiti soprattutto dai filmati ottenuti con telecamere nascoste, sembra che il fenomeno sia reale e preoccupante. Ammetto che lavorare in mezzo ai bambini sia impegnativo e pesante: come diceva mio padre, infatti, i bambini sono belli e simpatici in casa degli altri. C’è comunque di peggio a livello di logorio professionale. Mi risulta che, sia a livello pubblico, sia a livello privato, sia a livello convenzionale pubblico-privato, la formazione, la preparazione e la selezione degli addetti all’infanzia sia qualitativamente sufficiente, almeno sulla carta. Non so se esista un valido sistema di controllo in itinere al di là dei blitz delle forze dell’ordine messe spesso in allarme dai genitori.

Il problema educativo è importantissimo e delicatissimo: è nell’età infantile che si radicano e si formano i bambini nella loro psicologia. Siamo passati nel tempo da schemi disciplinari molto rigidi a metodologie assai permissive, da un’estremità all’altra, come succede spesso.  I rapporti con le famiglie sono dettati più da esigenze logistiche ed organizzative che da collaborazione fra le diverse entità educative: per dirla brutalmente ho l’impressione che l’asilo infantile venga considerato come un deposito di cui servirsi per snellire le procedure famigliari. Tutta l’organizzazione sociale mette a repentaglio la sorte dei bambini, sballottati da un luogo all’altro, da una persona all’altra, spesso tra la casa dei nonni e l’asilo, tra i nonni e le educatrici dell’infanzia, con interventi marginali e residuali dei genitori altrove occupati a livello lavorativo.

Il clima è cambiato. Faccio un revival personale: da piccolo avevo a mia disposizione la mamma, la nonna, la sorella maggiore, la suora dell’asilo e ciononostante mi sentivo a disagio, non ero sereno. Se tanto mi dà tanto… C’è il problema di rendere compatibile l’impegno professionale dei padri e delle madri con la responsabilità educativa genitoriale; esiste la necessità di trovare la combinazione ottimale fra strutture socio-educative e famiglie; non si possono dimenticare i problemi economici che condizionano l’intera impalcatura a livello privato e pubblico; sarebbe opportuno selezionare e seguire attentamente i troppi percorsi formativi intrapresi dai bambini (sport, scuola di danza, scuola di musica, scuola di lingue, festicciole varie, videogiochi, etc. etc.). Non voglio ripetermi, ma ricordo di avere captato i discorsi fra mamme: si lamentavano degli eccessivi impegni appioppati da loro stesse sulle deboli spalle dei figlioletti e facevano l’elenco simile a quello di cui sopra, in fondo aggiungevano il corso di catechismo. È detto tutto sulla confusione educativa che regna in capo ai bambini.

Tutto va considerato, ma credo che, al di là di tutto, stia venendo a mancare l’etica: si lavora male, si collabora poco, si controlla ancor meno. Alla fine della fiera chi ci rimette sono i soggetti deboli: i bambini, i quali, cresciuti male, si “vendicheranno” e “picchieranno” gli insegnanti della scuola superiore, passando da “vittime a carnefici”, con le famiglie a scandalizzarsi e a tifare contro la scuola. Chiedo scusa dell’esagerazione, ma il quadro non è dei più confortanti.