Il travaglio resistenziale

A settantacinque anni dall’attentato di via Rasella e dalla successiva strage delle Fosse Ardeatine è impossibile analizzare obiettivamente fatti sconvolgenti, svoltisi in un clima che non si riesce a ricostruire, tanto era drammaticamente complesso e tragicamente segnato. La storia getta la spugna di fronte ad una situazione così estrema. Ho ascoltato e letto ricostruzioni attendibili, ad un certo punto sono stato persino colto da un micro-malore in conseguenza della ricostruzione delle modalità dell’eccidio. Mi sento di fare una sofferta riflessione etica: la guerra spinge l’uomo nella foresta, facendone un essere ben peggiore dell’animale. Quella ignobile guerra è stata l’inesorabile sbocco del nazifascismo.

L’Italia visse doppiamente la catastrofe, trascinata in un duplice e paradossale conflitto con due se non addirittura tre facce. In questo miscuglio di odio la Resistenza cercò coraggiosamente e disperatamente di tenere accesa la fiamma degli ideali riconducibili alle libertà democratiche, anche se in essa confluirono molti e diversi protagonisti difficilmente miscelabili sia dal punto di vista ideologico che dal punto di vista politico e tattico.

L’attentato di via Rasella si colloca drammaticamente in quel tragico crocevia in cui la violenza doveva fronteggiare la violenza, rischiando di oltrepassare i limiti: non so se li oltrepassò, non riesco a giudicare le decisioni di personaggi che puntavano a difendere grandi ideali e non mi sento di censurare il loro comportamento (eccessivo?), in quanto la situazione era complessa e difficile al limite dell’impossibile. Sono portato a capire, con le lacrime agli occhi, i comportamenti di esponenti della Resistenza come Sandro Pertini o Giorgio Amendola e il loro sofferto placet ad una tattica aggressiva nei confronti dell’invasore tedesco e dei suoi alleati italiani.

Quando una tragedia giunge all’ultimo atto non si può pretendere di ripartire dall’inizio. Certo, col senno di poi, sarebbe forse stato meglio confidare negli alleati e collaborare con loro, senza cedimenti alla velleitaria e immatura ricerca di un’autonoma legittimazione popolare per ipotecare la fase del post-liberazione. Ma non è proprio anche in base a questo coinvolgimento di popolo che rinasce la nostra democrazia? Il prezzo pagato per questa azione è stato enorme: il nazismo non aspettava altro che sfogare le sue restanti folli velleità e vomitare fino in fondo la sua bestialità.

Viene la tentazione di chiedersi: cosa ha aggiunto di positivo questo attentato alla guerra di liberazione? Domanda capziosa senza risposta! La brutale decimazione ha creato immediatamente più sconcerto e paura che spirito di ribellione. Quanta sofferenza, quanto sangue, quanta ingiustizia! A chi vagheggia qualche pallida idea pseudo-fascista, a chi confonde storia e revisionismo, a chi impazzisce nel negazionismo, consiglio di fare una capatina al sacrario delle vittime delle Fosse Ardeatine, laddove Sergio Mattarella volle iniziare il suo percorso presidenziale.

Di ritorno dalla toccante visita al sacrario di Redipuglia mio padre si illudeva di convertire tutti al pacifismo, portando in quel luogo soprattutto quanti osavano scherzare con nuovi impulsi bellicosi. «A chi gh’à vója ‘d fär dil guéri, bizògnariss portärol a Redipuglia: agh va via la vója sùbbit…». Pensava che ne sarebbero usciti purificati per sempre. Voglio pensarlo anch’io in riferimento alle Fosse Ardeatine e alla esecrazione del nazifascismo.