Il brodo della gente e le rane della politica

Sono culturalmente e mentalmente affezionato alla democrazia rappresentativa e quindi molto scettico verso le illusionistiche manifestazioni di democrazia diretta. Preferisco le seggiolate congressuali di un tempo alle attuali asettiche elezioni primarie. Il mondo cambia e forse io sono fermo. Tuttavia, stando a quel che passa il convento della politica, se il menu mi permette di scegliere tra uno sbrigativo clic in risposta ad una domanda più o meno retorica e un voto per scegliere una leadership personale, non ho dubbi e preferisco una scheda elettorale con tanto di croce su un nome.

In questi giorni si celebra il secondo atto del congresso PD consistente nelle elezioni primarie per la segreteria del partito: non entro nel merito delle candidature, delle relative mozioni programmatiche, delle differenze politiche fra i candidati. Faccio solo qualche riflessione metodologica.

Mi sono chiesto se sia il momento giusto per celebrare un congresso e per divaricare le posizioni interne in vista di una consultazione elettorale molto importante come quella europea. La gente vuole discutere e capire o preferisce andare avanti con la testa nel sacco? Ho la netta impressione che, complici le spettacolari contrapposizioni sui palcoscenici mediatici, gli elettori preferiscano farsi impressionare da chi grida di più o da chi liscia loro il pelo. Se diamo per buona questa ipotesi, era certamente meglio che il PD lasciasse perdere il confronto congressuale rinviandolo a data da destinarsi. Se invece pensiamo che chi fa politica non debba appiattirsi sui gusti della gente lasciandola bollire nel suo brodo, ma debba portare i cittadini dentro la politica, le sue scelte ed i suoi meccanismi, ben venga un congresso quale problematico preludio alle elezioni europee.

Per la seconda riflessione sulla efficacia di un voto a livello degli equilibri interni di un partito, faccio riferimento agli insegnamenti paterni. Durante il lungo conclave per l’elezione del papa che sfociò nell’elezione di Roncalli quale Giovanni XXIII, in caffè dal televisore si poteva assistere al susseguirsi di fumate nere e qualche furbetto non trovò di meglio che chiedere provocatoriamente a mio padre, di cui era noto il legame, parentale e non, con il mondo clericale (un cognato sacerdote, una cognata suora, amici e conoscenti preti etc…): “Ti ch’a te t’ intend s’ in gh’la cävon miga a mèttros d’acordi cme vala a fnir “.  Ci sarebbe stato da rispondere con un trattato di diritto canonico, ma mio padre molto astutamente preferì rispondere alla sua maniera: “I fan cme in Russia, igh dan la scheda dal sì e basta!”.

Sono in atto meccanismi alternativi al tradizionale voto che, a mio giudizio, puzzano di scheda del Sì lontano un miglio. Un voto espresso in libertà con un minimo di coinvolgimento è sempre da preferirsi alle pantomime referendarie informatiche o alle consultazioni di plastica. Meglio un partito dove si litiga, ci si confronta anche aspramente ed esageratamente che un partito dove domina la pace dei sepolcri mediatici più o meno imbiancati. Chi ha orecchie per intendere intenda.