L’ottovolante regionale

Basta avere un minimo di buon senso per capire che un decentramento dei poteri nazionali e la concessione di autonomie locali dovrebbero comportare un miglioramento dei rapporti fra lo stato (inteso nel suo complesso) e i cittadini, nonché un viatico per la razionalizzazione dei poteri e delle funzioni nella gestione della macchina pubblica.

Purtroppo il decentramento regionale ha tradito le aspettative rivelandosi la fucina di ulteriori e impreparate burocrazie, l’allargamento dell’area soggetta ai fenomeni della corruzione in campo politico, l’occasione per creare nuovi centri di potere fini a se stessi, il rischio di infinite diatribe sull’attribuzione delle competenze e delle responsabilità. Quando succede qualche “disastro”, sfido chiunque a capire fin dove arrivino le responsabilità di Comune, Regione e Stato centrale.

La frettolosa spinta autonomistica contenuta nella riforma del titolo quinto della costituzione operata nel 2001, ha creato non poca confusione e incertezza. L’ulteriore riforma costituzionale, che cercava di rimettere un po’ di ordine, è stata bocciata dal referendum popolare del 2016 (è stato buttato il bambino assieme all’acqua sporca).

Adesso per iniziativa di tre regioni, Lombardia, Veneto ed Emilia, pur con differenziazioni ideologiche, politiche e tattiche fra di esse, si sta cercando di raggiungere autonomie regionali rafforzate in conflitto/dialogo con il governo. Non sono entrato nel merito della questione anche perché mantengo tutto il mio scetticismo sul discorso regionale: un’arma a doppio taglio, che fino ad ora ha tagliato solo la chiarezza nei meccanismi di potere ed ha aumentato la burocrazia a danno della competenza e della snellezza procedurale. Le perplessità aumentano nell’ipotesi di una differenziazione di poteri fra regione e regione ad ovvio vantaggio di quelle più sviluppate e progredite.

Politicamente parlando si saldano le tradizionali e velleitarie spinte leghiste (vedi Lombardia e Veneto) con quelle più ragionevoli e moderate della sinistra (vedi Emilia-Romagna) in una sorta di competizione centro- periferia, che non mi suscita interesse e speranza. La questione aggiunge un ulteriore intricato nodo alla fune che lega i partiti dell’attuale governo: da una parte Salvini che, pur avendo operato una scelta decisamente nazionalista, non può rinnegare il passato federalista e non può scontentare i suoi due presidenti di regione, Maroni e Zaia, assai ben piantati a livello elettorale; dall’altra parte il M5S, che assorbe consenso soprattutto nel meridione, che non ha nel suo dna il discorso autonomistico e regionale e che trova non poche difficoltà a sfondare a livello locale (il recente risultato elettorale abruzzese ne è un’ulteriore conferma).

Se la questione è delicata e complicata a livello costituzionale, immaginiamoci cosa può diventare se data in pasto agli intrighi del governo pentastellato: un altro negozio di cristalleria assalito dagli elefanti. A mio giudizio non è il momento di aprire un simile fronte: nella confusione politica che regna sovrana non potrà che spuntare una soluzione sbagliata, una fuga in avanti col freno a mano attaccato. Chi viaggia su una tale automobile si prepari a soffrire tra rischiose accelerate e brusche frenate. Sarà perché io soffro il mal d’auto…