Il letto della protesta e la tavola del potere

L’esito del referendum dei militanti grillini mi ha sorpreso per la realpolitik che lo caratterizza: hanno legato l’asino dove vuole il potere alla faccia della loro storia fatta di battaglie parolaie contro il potere stesso. Il grillismo sta cambiando pelle ho aveva addosso solo una finta pelle? A tal proposito mi sono chiesto più volte quale sia la differenza tra il M5S riconducibile a Di Maio e Di Battista (non più a Grillo, che mi sembra in altre faccende affaccendato) e la Lega reinventata da Salvini (non più da Bossi messo vergognosamente in disparte). Sono andato per esclusione.

La diversità non sta nella collocazione a destra o sinistra dello schieramento politico: sono entrambe forze di destra, se per destra intendiamo la reazione ai principi democratici per planare su populismo e sovranismo. La diversità non consiste negli atteggiamenti istituzionali: sono tutti di fatto alla disperata e disperante ricerca del superamento dell’impianto costituzionale in nome dell’antipolitica e della protesta contro i poteri forti. Non hanno strategie politiche divergenti: litigano sulla strada da percorrere, ma la meta è identica; il contratto di governo formalizza un compromesso storico che punta a sovvertire l’ordinamento democratico, superando i concetti di democrazia rappresentativa, di comunità europea, di convivenza internazionale, di uguaglianza razziale, di solidarietà umana. Le loro leadership di vertice non hanno alcuna base e storia culturale, ma si fondano sulla furbizia delle intuizioni mediatiche, dei tatticismi e degli opportunismi.

Non è un caso se in parte si rubino i voti e se, volendo in qualche modo accentuare le loro differenze, rischino di assomigliarsi sempre di più e di costringersi in un’alleanza sempre più stretta. Mentre Salvini vive da separato in casa nel centro-destra, Di Maio non riesce ad avere alcuna interlocuzione plausibile con la sinistra da cui si allontana sempre più e su cui scarica tutte le colpe passate, presenti e future. Sono costretti a stare insieme e la loro convivenza si fonda sul letto in cui raggiungono gli orgasmi della protesta e sulla tavola in cui si ingozzano di potere in nome dell’antipolitica.

E allora? Nessuna diversità? Resta qualcosa che non riescono a cancellare: il senso politico, che è fatto anche di sfumature, di tempi e modi, di atteggiamenti. I pentastellati sono portati a partire lancia in resta senza curarsi delle ripercussioni e delle conseguenze. La Lega, forse perché ha un elettorato più politicizzato, un partito più strutturato, una storia politica più lunga, un radicamento territoriale più forte, una classe dirigente più sfaccettata ed esperta, un collegamento più preciso con certe classi e fasce sociali, deve misurare l’effetto delle proprie scelte e porre maggiore attenzione ai loro effetti.

Si possono fare alcuni esempi. Salvini frena negli attacchi a Bankitalia; si distingue nell’atteggiamento verso la crisi venezuelana; difende la Tav e le opere pubbliche; punta forte sull’autonomismo regionale; è meno spinto nei contrasti con la Francia; etc. etc. Fino ad ora ero propenso a vedere in tutto ciò una debolezza nella convivenza pentaleghista, mi sto invece accorgendo che è solo questione di stile, paradossalmente più controllato e misurato non tanto nel linguaggio ma nei dosaggi. Per dirla sotto metafora: Salvini fa politica concretamente all’osteria, Di Maio preferisce la piazza reale o informatica. Le amicizie si coltivano all’osteria e non in piazza. I patti si stipulano meglio bevendo vino piuttosto che gridando al lupo. Il leghismo mantiene il suo approccio ruspante e facilone combinato con la prassi politica pressapochista. Il grillismo è abbarbicato al suo scetticismo globale collegato all’ignoranza totale. Tutto qui. Poco a favore di una separazione a breve, molto a favore di un divorzio a lungo.