I nazistelli in agguato

I gilet gialli hanno mostrato la loro faccia violenta. Un episodio incredibile ha visto un gruppo di essi aggredire il filosofo e accademico francese Finkielkraut, figlio di ebrei polacchi scampati alla Shoah e sopravvissuti alla deportazione ad Auschwitz: «Sporco ebreo, sporco sionista, la Francia è dei francesi, il popolo ti punirà». Non è purtroppo un episodio isolato, ma l’acme di una escalation razzista emersa nelle manifestazioni, che suscita orrore. Bastino le scritte e gli slogan riportati dalle cronache: ”La Francia muore di fame e gli ebrei accendono le luci di Channukkà”; “Macron, sei la puttana degli ebrei!”; “Macron, sei il pupazzo degli ebrei”.

La protesta di piazza o sulla rete può avere motivi seri e partire da rivendicazioni valide, ma, se il suo leitmotiv è la paura e il suo approccio è l’antipolitica, finisce col dare sfogo all’odio, egemonizzato dall’estremismo di destra e infiltrato dall’antisemitismo.   La storia e l’attualità vanno a braccetto: il vizio di far risalire la crisi economica ai poteri forti ed ai complotti demo-pluto-giudaico-massonici è una caratteristica dei regimi e delle ideologie fascisti e nazisti ed in esso stanno cadendo certi movimenti o almeno certe frange di movimenti apparentemente rivoluzionari, ma sostanzialmente reazionari.

Il movimento cinque stelle, non so se per ignoranza, dabbenaggine, ingenuità o convenienza, è caduto nella trappola, lasciandosi irretire dai gilet gialli, ritenendoli un interlocutore interessante: a poco valgono le tardive prese di distanza dalle posizioni più estremiste contenute nel ribellismo francese. Non voglio esagerare affermando che “ogni simile ama il suo simile”: fino a qualche tempo fa ero convinto che il grillismo avesse fatto da spugna democratica rispetto alle incontrollabili spinte protestatarie, garantendo, bene o male, una rappresentanza politica alle istanze popolari esprimentesi al di fuori dei partiti tradizionali. Non ce l’hanno fatta. In parte è loro sfuggita di mano la situazione, in parte la loro pochezza politica li ha costretti più a cavalcare la protesta che a interpretarla e rappresentarla, in parte la piazza, reale o virtuale, finisce col deviare nel segno della violenza.

Le paure hanno una istintiva radice, che, se non trova sbocchi politici adeguati, porta all’odio sociale e financo a quello razziale. Chi semina paura raccoglie odio. Il M5S sta brancolando nel buio e si attacca a tutto ciò che passa il convento della protesta in Italia e all’estero, avendo la presunzione di riuscire a tradurlo nell’innovazione politica. Quando la smania di cambiamento non è accompagnata da un forte senso democratico e non è radicata nella fiducia istituzionale, porta fuori strada laddove, come dice Bernard-Henry Levy, si possono incontrare anche fascistelli e/o nazistelli che aggrediscono uno scrittore francese al grido di “torna a Tel Aviv” e di “noi siamo il popolo”.

Senonché i fascistelli e/o i nazistelli possono anche rappresentare le variabili impazzite di movimenti borderline che trovano consensi di massa. Allora non basta il pur saggio, tempestivo e condivisibile auspicio di Bernard-Henry-Levy alla luce dell’episodio suddetto: «Possa questo scena allucinante polverizzare gli ultimi rimasugli di impunità mediatica di cui godevano i Gilet gialli». In Italia dobbiamo capire di aver messo al governo due forze politiche che, per ignoranza o convinzione o storia o ispirazione, giocano sul terreno minato delle paure fatte odio. La paura fa novanta e l’odio fa novantuno su una ruota dove i numeri della democrazia non escono mai.