Quei cara…battole di immigrati

Ho cercato di fare ordine mentale nel ginepraio del sistema nazionale di accoglienza (?) dei migranti, consistente in diversi tipi di struttura.

Gli Hotspot sono i luoghi attrezzati per lo sbarco, dove si svolge la prima fase delle operazioni di soccorso, prima assistenza sanitaria, pre-identificazione e fotosegnalamento, informazione sulle procedure dell’asilo e della relocation.

I Cara (Centri di accoglienza per i richiedenti asilo) sono destinati all’accoglienza dei richiedenti asilo per il periodo necessario alla loro identificazione e/o all’esame della domanda d’asilo da parte della competente Commissione Territoriale. I Cara sono gestiti dal ministero dell’Interno attraverso le prefetture, che appaltano i servizi dei centri a enti gestori privati attraverso bandi di gara. Queste strutture di prima accoglienza si trovano isolate dai centri urbani e sono senza servizi di collegamento.

I Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio) sono strutture per chi non ha diritto di stare in Italia e che attende di essere rimpatriato.

I Cas (Centri di accoglienza straordinaria) accolgono in prima istanza chi arriva via mare e funzionano nell’ipotesi in cui, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di immigrati, i posti disponibili nelle strutture di prima e seconda accoglienza non siano sufficienti.

Fin qui, si fa per dire, la prima accoglienza. Poi c’è il sistema Sprar, il Servizio centrale di protezione per i richiedenti asilo, che viene attivato dagli enti locali in collaborazione col Terzo settore e che ospita i rifugiati per la durata massima di un anno: dovrebbe essere il modello di “accoglienza integrata” e di inclusione sociale sulla base di progetti di inserimento al lavoro.

In questi giorni è stato chiuso il Cara di Castelnuovo di Porto, comune della città metropolitana di Roma: un centro sovraffollato, che però sembra funzionasse discretamente. La decisione della chiusura si è abbattuta come un autentico ciclone sugli immigrati in essa ospitati, i quali si sono visti sbattuti fuori improvvisamente con l’immaginabile ulteriore dramma di non sapere dove andare a finire la loro drammatica vicenda. Ci si augura che vengano ricollocati in altre strutture, ma, da quanto ho potuto capire, sono stati costretti ad abbandonare un minimo percorso di integrazione sociale avviato con un notevole impegno dall’ente gestore. Tutto azzerato in fretta e furia: gli immigrati rimessi allo sbando, i dipendenti senza lavoro, drammi giovanili e familiari: un vergognoso casino! La gente trattata come pacchi da trasportare, senza alcun riguardo, da un posto all’altro. Roba da matti! E questa sarebbe la nuova politica di integrazione del governo del cambiamento?

Una seria politica dell’immigrazione non esiste in Italia e purtroppo non esiste nemmeno negli altri Paesi europei: si naviga a vista, anzi si accoglie alla carlona o si respinge chi naviga a rischio e pericolo della propria vita. L’Europa ha tentato di proporre meccanismi di collaborazione fra gli Stati: non hanno funzionato in quanto alcuni non si sono resi disponibili all’accoglienza, preferendo la politica di innalzamento dei muri.

A fronte di questa pochezza culturale, politica ed organizzativa a livello governativo, si tende a criminalizzare chi soccorre in mare e chi accoglie in terra: sarebbero protagonisti di un business inammissibile, che si aggiungerebbe a quello dei trafficanti. Sul banco degli imputati vanno le Ong con le loro navi che si affacciano alle coste italiane e i gestori dei centri di cui sopra. Le prefetture faticano a districarsi, a volte trovano scarsa disponibilità a livello territoriale. I comuni fanno quel che possono. La magistratura fa le pulci a tutti. Il governo fa la voce grossa: non intende accogliere più nessuno, vuole buttare fuori quanti non riescono ad inserirsi nel farraginoso sistema, lascia testardamente e vigliaccamente centinaia di immigrati in balia delle onde, sballotta da un centro all’altro gli immigrati entrati in Italia. Non era possibile gestire la chiusura del Cara di Castelnuovo in modo più graduale e umano? Non era doveroso parlare con questa gente per proporre alternative minimamente condivise? Non si poteva aprire un dialogo con l’ente gestore per verificare il da farsi e per affrontare la situazione in modo più ragionevole? Evidentemente si ha fretta di lanciare messaggi duri sulla pelle degli ultimi e a poco servono le lacrime di coccodrillo del ministro Bonafede, il quale confessa di commuoversi di fronte a certe scene: veda piuttosto di fare l’impossibile per evitarle! Non è umanamente necessario soccorrere i disperati: poi ci sarà tempo e modo di ragionare, di programmare, di razionalizzare, financo di litigare.

La recente politica di responsabilizzazione della Libia, quale Paese di transito dei flussi provenienti dall’Africa (politicamente motivata e razionalmente avviata), sta rischiando di diventare il modo per far morire i disperati nei campi di concentramento anziché in mare aperto. I Paesi europei infatti non sono in grado di controllare e contenere i trattamenti disumani riservati dalla Libia a chi vuole tentare di emigrare, fuggendo da situazioni insostenibili nei Paesi di origine.

Al termine di questa breve e sommaria ricognizione mi sento costretto ad accogliere l’invito ripetutamente lanciato da Massimo Cacciari: “Vergognamoci!!!”. Alla misura già quasi colma l’attuale governo pentastellato (non mi interessano i distinguo tra gli urlatori alla Salvini, i ragionatori alla Di Maio e i mediatori alla Conte) sta aggiungendo un surplus di ferocia e di propaganda pseudo-razzista. Invece di cercare pazientemente soluzioni e progetti nuovi, si alzano vecchi muri ideologici e demagogici verso i disperati che chiedono aiuto, per i quali sarebbe finita la pacchia (frasi vergognose che gridano vendetta: arriverà con ulteriori disastri sociali che ci investiranno nel tempo). Chissà che prima o poi non finisca anche la pacchia elettorale di chi ci sta sgovernando. Poi sapremo cambiare registro e aprire le coscienze? Ho molti seri dubbi. Speriamo non sia troppo tardi.