Politica estera tra mozione degli odi e degli affetti

Se c’era una linea politica su cui lo Stato e il governo italiani hanno brillato, dal secondo dopoguerra in avanti, per lungimiranza, coerenza, autonomia e serietà, quella era  la politica estera: un filoatlantismo che non ha mai rappresentato una piatta e acritica assonanza, una scelta filoamericana che non ha impedito all’Italia di distinguersi con aperture verso l’Est e verso i Paesi arabi, una vocazione europeista che ha visto il nostro Paese tra i promotori e i più convinti realizzatori della collaborazione fra i Paesi europei e i protagonisti di un forte impegno a livello delle istituzioni europee, una sensibilità ed un’apertura alle problematiche dei Paesi sottosviluppati, una forte difesa delle democrazie contro i totalitarismi e le dittature.

L’attuale governo sta riuscendo a distruggere quanto faticosamente costruito in oltre settant’anni, scompaginando il senso delle storiche alleanze, indebolendo le scelte fondamentali, assumendo atteggiamenti stravaganti e ondivaghi, confondendo la capacità critica con l’ostilità preconcetta, puntando a nuove, misere e opportunistiche alleanze. La politica estera è un difficile banco di prova: ogni giorno a livello mondiale la matassa tende ad ingarbugliarsi ed occorre intelligenza, pazienza e prudenza per dipanarla.

Innanzitutto abbiamo almeno quattro personaggi che la dettano e che non riescono a fare sintesi: il ministro dell’Interno, che non si capisce quali competenze abbia al riguardo se non quelle di collocare l’Italia in un autentico casino populista e sovranista col quale non abbiamo nulla da spartire; l’altro vice-presidente del consiglio, Luigi Di Maio, che se conosce la geopolitica come conosce la lingua italiana, fa molta fatica a capire se l’Italia è in Europa, in America o in Africa; un ministro degli Esteri, Moavero Milanesi, messo a reggere il moccolo pentaleghista e a tenere aperte le porte che tutti vogliono sbattere; un presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che cerca disperatamente e penosamente di fare sintesi nel pollaio governativo con l’autorevolezza di un cappone.

Poi arrivano gli eventi che quasi giornalmente complicano il quadro internazionale e lo rendono ulteriormente complesso e problematico: ultima, la crisi politica venezuelana di fronte alla quale l’Italia rischia, come ormai sta succedendo spesso, di trovarsi isolata e/o spiazzata e/o confusa.   Il governo italiano è diviso e non si schiera: mena il can per l’aia. Il premier Conte, il ministro competente (?) Moavero e la Lega (che strana contingente assonanza…) vorrebbero associarsi ai leader europei schierati per Guaidò, dando una sorta di ultimatum a Maduro: o indice nuove elezioni entro pochi giorni o dovrà subire il riconoscimento dell’autoproclamato presidente Guaidò.

Ad un certo punto spunta un certo Alessandro Di Battista, un grillino doc, che non si sa da dove venga, chi rappresenti e che funzione abbia, ad assestare un colpo basso agli esponenti del governo ed al loro orientamento: «L’ultimatum è una stronzata galattica». Salvini naturalmente non si fa scappare l’occasione: «Dibba parla a vanvera…». Dibba per chi non lo sapesse è il soprannome affibbiato a Di Battista. Personalmente non condivido il soprannome, ma aggiungo una battutina dialettale in rima per meglio definirlo: «Vón che prima al la fa e po’ al la pista». I cinquestelle insomma, con il loro solito cerchiobottismo o “pesceinbarilismo” (come dir si voglia) dicono, sciacquando in Arno le cazzate dibattistane: «Presto al voto, ma no a interventi impositivi».

E allora ecco spuntare la mediazione di Giuseppe Conte, il quale dichiara testualmente: «L’Italia sta seguendo con costante attenzione la situazione in Venezuela. Auspichiamo la necessità di una riconciliazione nazionale e di un processo politico che si svolga in modo ordinato e che consenta al popolo venezuelano di arrivare quanto prima a esercitare libere scelte democratiche, senza interventi impositivi di altri Paesi». Il ministro degli Esteri Moavero Milanesi da parte sua aggiunge ed afferma: «Ci riconosciamo pienamente nella dichiarazione comune che gli Stati membri dell’Ue hanno diffuso oggi sulla situazione in Venezuela, alla redazione della quale abbiamo partecipato. Chiediamo una vera riconciliazione nazionale e iniziative costruttive che scongiurino sviluppi gravi e negativi, assicurino il rispetto dei diritti fondamentali e consentano un rapido ritorno alla legittimità democratica, garantita da nuove elezioni libere e trasparenti».

Alla fine di questa girandola di pareri e dichiarazioni ho capito poco quale sia la posizione europea ed ancor meno quale sia quella italiana. Anche a non dire niente bisogna essere capaci. Gianfranco Fini veniva ironicamente definito “uno che non sa un cazzo, ma lo dice bene”. Gli attuali governanti italiani non sanno un cazzo, ma lo dicono male.