Le porte girevoli della brexit

Ammetto di essere piuttosto prevenuto contro gli inglesi, ma la loro menata sulla brexit è decisamente vergognosa da tutti i punti di vista. Hanno pazzamente lasciato che il popolo sfogasse le sue frustrazioni in una decisione scriteriatamente antistorica, dettata da motivazioni che quasi nulla avevano a che fare con la Ue, hanno improvvisato uno stile di democrazia diretta su un tema che non si presta per niente ad un simile esercizio, si stanno rivelando incapaci di gestire l’emergenza dell’uscita, infilandosi in un quasi comico meccanismo di porte girevoli, dimostrando tutta la debolezza del loro tanto decantato senso democratico a livello popolare ed istituzionale.

Dopo il clamoroso no da parte del parlamento britannico all’accordo negoziato con la Ue, si aprono scenari piuttosto incerti e variegati. Il leader della minoranza laburista Corbyn punta decisamente allo scioglimento del Parlamento con elezioni anticipate: poco senso di responsabilità, molta strumentalizzazione di un problema europeo a fini interni, fino ad ora poche probabilità di riuscita. La Gran Bretagna potrebbe andare fino in fondo alla strada intrapresa ed uscire dalla Ue sbattendo la porta, senza un accordo, in un insensato clima di contrasti e ripicche: una sorta di divorzio al buio con tutte le conseguenze possibili ed immaginabili.

Il governo, dimostratosi incapace e inadeguato a gestire questo passaggio stretto e difficile, potrebbe preparare un nuovo accordo e sottoporlo al Parlamento, prima o dopo averlo contrattato con la Ue: una scelta del tirare a campare in ossequio al pensiero andreottiano tanto chiacchierato in questi giorni di celebrazioni del centenario dalla nascita del personaggio (sempre meglio che tirare le cuoia, diceva l’inossidabile Giulio, il quale peraltro avrebbe tutto da insegnare a Theresa May). Un’altra possibilità sarebbe quella di chiudere questa fase e indire un nuovo referendum: la speranza in un improbabile ravvedimento operoso del popolo britannico o in una sua testarda conferma, entrambe le ipotesi tali da mettere le istituzioni britanniche in grado di saltarci fuori (?) in una qualche maniera.

Tutto ciò succede a presuntuosamente voler “pisciare contro vento” e a voler essere più democratici della democrazia. Questa antistorica vicenda ha l’aria di essere partita male e di risolversi ancor peggio. Ne vengono due insegnamenti di cui fare tesoro. Il mondo è progredito, ma si è anche complicato: i problemi sono enormi e non possono essere affrontati e risolti con una semplicistica e anacronistica fuga nel particolare. Se l’Europa ha limiti e debolezze, figuriamoci i singoli Stati chiusi a riccio nelle loro illusorie certezze.

Una seconda riflessione riguarda il sistema democratico, che proprio un famoso politico inglese, Winston Churchill, ha definito, con un suo pragmatico ma saggio aforisma, “la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre”. La democrazia rappresentativa non ha alternative praticabili, è una strada obbligata: provare a sperimentare scorciatoie dirette porta a perdere la bussola. I referendum sono armi a doppio taglio e molto difficili da maneggiare: chi in Gran Bretagna lo aveva promosso o frettolosamente subito pensava di rafforzarsi, invece si è indebolito tutto il sistema che si è avvitato su se stesso e rischia di impantanarsi.

C’è di che spaventarsi anche perché in Italia tirano venti assai simili alla brexit e ai referendum spropositati: c’è chi vagheggia una sostanziale presa di distanza dalla Ue, chi guarda al di fuori di essa, chi la vorrebbe ridimensionare se non snaturare; quanto alle derive referendarie c’è chi rincorre una fantomatica democrazia diretta a livello informatico. Demenzialità belle e buone. Teniamoci strette l’Europa e la democrazia rappresentativa. Stiamo nei primi danni e non andiamo a muovere del freddo per il letto.