La grande tristezza

In questi giorni ho ascoltato una bellissima affermazione di Marta Cartabia, vice-presidente in carica della Corte Costituzionale. La riporto a senso: “Bisogna essere convinti che il distruggere non serve per migliorare la società”. Un monito che viene dal rispetto dell’etica individuale e collettiva, dal profondo della coscienza democratica, dall’esperienza della storia e dalla sana spinta della politica. La miglior chiosa culturale possibile al fallimento di tutti i terrorismi, in particolare di quello sviluppatosi in Italia nel secolo scorso. L’arresto di Cesare Battisti, il latitante terrorista pluriomicida, segna una grande tristezza: la misera fine di una illusione che diventa delinquenza; l’ansia di giustizia e di progresso che rovina nella più brutale violenza; la sconfitta del bene ad opera del male ammantato di bene.

Ho sentito esprimere soddisfazione. Ma quale soddisfazione!? È un episodio ulteriore di una tragedia che ci ha colpito tutti. Finisce giustamente anche l’illusione di coprire con il giudizio benevolo della storia i reati collegabili al terrorismo politico.  La follia omicida di chi pretendeva di cambiare il mondo con l’odio e la violenza viene rimessa al suo posto e come tale giustiziata. Quante vittime innocenti sull’altare di una rivoluzione fasulla!

Non sentiamoci però buoni e bravi, non mettiamo a posto la nostra coscienza facendo pulizia in quella di chi si è macchiato di crimini orrendi in nome di una fantomatica rivoluzione. Abbiamo tutti di che riflettere, di che sentirci colpevoli, di che fare ammenda, di che cambiare individualmente e collettivamente. Non ha senso vivere questi fatti come una tardiva vendetta. E tantomeno imbastire anacronistiche polemiche su chi ha tentennato nel condannare, nel prendere le distanze, nel vagheggiare assurdi colpi di spugna. Non si sentano giusti e assolti nella loro ingiusta politica coloro che cercano legittimazione nei tragici errori dei nemici. Meditino seriamente anche quanti amano correre sul filo del rasoio della violenza politica.

Di fronte all’epilogo della vicenda giudiziaria di Cesare Battisti vengo colto da una profonda tristezza: è il fallimento della vita di una persona che fa ancora fatica a prenderne atto, è il fallimento di una pazza ideologia terroristica, è il fallimento di un’epoca, è il fallimento di un’ansia trasformata in violenza distruttiva, è il fallimento di un sistema che non riesce a rispondere alla voglia di giustizia sociale, è il fallimento di una democrazia che non ha gli anti-corpi necessari a combattere le sue malattie, è il fallimento della politica incapace di affrontare  i problemi e li lascia marcire, è il fallimento di un mondo che divora gli aneliti progressisti vomitandoli nel letamaio della violenza criminale.

Non basta giustiziare i colpevoli, spettacolarizzandone insensatamente la cattura, strumentalizzando vergognosamente le operazioni di polizia. Bisogna capire e approfondire le colpe e rimuoverne, per quanto possibile, i presupposti. Occorre un bagno di umiltà nel sangue di tutte le vittime dell’ingiustizia. Occorre tornare alle spinte ideali che hanno vinto la violenza e hanno trasformato la nostra società. Occorre prendere in mano la Costituzione italiana, piangerci sopra e ricominciare a fare politica, a costruire con pazienza.