La fabbrica del freddo e della paura

Siamo effettivamente condizionati da un surplus informativo forse più alienante della carenza di notizie. È molto più comodo creare i fatti in modo artificioso, enfatizzando la normalità, che approfondire i fatti reali cercandone le cause. In questi giorni tutti i telegiornali aprono e si dilungano sul freddo intenso che ha colpito l’Italia: servizi giornalistici sulle nevicate, ansia da temperature polari, ghiaccio paralizzante su strade, aeroporti e ferrovie. Vorrei capire cosa c’è di strano che in gennaio faccia freddo, che il termometro scenda abbondantemente sotto lo zero, che il gelo stringa l’ambiente in una morsa, che nevichi abbondantemente. Sarebbe più strano e farebbe notizia che perdurasse l’insolito tepore a cui ci siamo abituati, dando la colpa al surriscaldamento atmosferico dovuto all’inquinamento. Invece è tornato il freddo e non possiamo farcene una ragione.

Ricordo negli anni della mia fanciullezza e giovinezza le temperature polari, i geloni ai piedi, la neve che imperversava da dicembre a marzo senza soluzione di continuità, il ghiaccio che consentiva il pattinaggio nel laghetto del giardino pubblico, ma che purtroppo provocava cadute e infortuni, la viabilità compromessa, le polemiche sullo sgombero della neve fra pubblico e privato, le malattie da raffreddamento che rendevano problematica la presenza a scuola e sul lavoro. Oltre tutto gli ambienti erano molto meno riscaldati di oggi, i mezzi tecnici per affrontare le emergenze erano assai più scarsi e inefficaci, non esistevano i vaccini anti-influenzali, il solo uscire di casa rappresentava un serio problema, certe attività lavorative soffrivano uno stop con ricadute in termini di redditualità. Si conviveva col freddo molto più intenso di quello odierno per il quale creiamo ansia e preoccupazione eccessive.

I casi sono due: o eravamo fatalisti e accettavamo i disagi stagionali con troppa filosofia o siamo diventati insofferenti a tutto, pretendendo addirittura di guidare e controllare gli andamenti stagionali. L’informazione ci mette in questa strana situazione e crea problemi laddove non esistono o, se esistono, rientrano nella normalità. Tutto quanto fa notizia, soprattutto quanto non è notizia. Sono stanco di questo andazzo, anche perché vedo i veri problemi, i veri fatti, tranquillamente bypassati dall’informazione civettuola e superficiale.

Faccio un esempio passando alla situazione finanziaria ed ai mercati borsistici: Wall Street crolla perché il mercato informatico di Apple si sta esaurendo. Ci voleva poco a capirlo: la gente è piena zeppa di telefonini, smartphone, computer, etc., non potrà mangiarseli per fare un piacere ai mercati del settore. Cosa c’è quindi di strano e catastrofico? Che prima o poi la borsa americana dovesse scontare le smargiassate di Donald Trump era più che prevedibile: stiamo bruciando non risorse economiche reali, ma miliardi di aria fritta. Niente di spaventoso, come vogliono farci credere i media da strapazzo. È molto più comodo cavalcare le tigri di carta che andare alla ricerca di quelle vere.

In questo bailamme informativo siamo tutti sommersi non solo da notizie false, ma da non-notizie, che pretendono di orientare le nostre scelte e i nostri comportamenti. È normale che in questo clima fasullo trionfino i ciarlatani di turno. Il fenomeno migratorio rientra perfettamente in questo clima ansiogeno creato dai seminatori di paura. Se abbiamo paura del freddo immaginiamoci dell’arrivo di migliaia di nostri simili che ci vengono a chiedere conto del nostro passato e ci presentano la lista degli errori commessi. Ma anche qui i dati sono fantasiosi, le notizie gonfiate, le situazioni enfatizzate. La paura fa novanta, forse addirittura novantuno. A quando recuperare il senso della realtà e la dimensione dei problemi? Viviamo di ansie, mentre dovremmo vivere di idee.