Il pianto sul mare versato

Di fronte al vuoto pneumatico della politica ridotta a cassa di risonanza degli sfoghi egoistici e malpancistici della gente, urge un ritorno coraggioso e provocatorio alla vera ed alta politica, quella delle idee, delle visioni, dei valori. Accanto all’ideale europeo messo a durissima prova e che necessita di un forte rilancio a livello culturale, abbiamo il discorso dell’immigrazione sul quale stiamo rovinosamente precipitando con la chiusura delle menti, dei cuori e dei porti.

Di fronte ai continui e drammatici naufragi con il conseguente tragico bilancio di vittime, non è più il tempo di nascondersi dietro le colpe dell’Europa, di irrigidirsi sulla lotta alla clandestinità, di semplificare il problema riducendolo all’opera malvagia dei trafficanti, di rinviare l’ondata ai mittenti Paesi sottosviluppati incapaci di frenare l’emorragia, di illudersi sul freno della dissuasione, del respingimento e del rimpatrio, di criminalizzare e generalizzare certi comportamenti fisiologici all’interno del fenomeno. Bisogna prima di tutto e soprattutto risolvere il nodo etico e culturale: siamo o non siamo disposti ad accogliere queste persone alla ricerca di uno spiraglio di vita? Se sì, si può parlare di governo del fenomeno, di prevenzione dello stesso, di integrazione etc., altrimenti, se la risposta è no, è inutile bluffare e bisogna avere il coraggio di chiamare le cose col loro nome, vale a dire col ritorno, più o meno elegante, ad atteggiamenti di tipo intransigente, discriminatorio e razzista.

Si tratta di un confine sul quale stiamo ballando come nel caso del Titanic: siamo noi che stiamo andando a fondo con la nostra cultura del rifiuto, e il nostro naufragio è molto più grave di quello dei barconi dei migranti in fuga, di cui è peraltro la causa principale e storica. Le forze politiche devono avere il coraggio di fare chiarezza sulle loro intenzioni e la gente di fare le scelte conseguenti. È giunta l’ora! Non si tratta di buonismo o cattivismo, si tratta di una scelta di fondo da porre alla base dell’atteggiamento de tenere verso questo fenomeno, che assume proporzioni sempre maggiori ed incontenibili. La mentalità leghista è vomitevole e vergognosa, così come la commedia degli equivoci pentastellati non è ammissibile. La sinistra si sforzi di assumere atteggiamenti chiari di apertura su cui imbastire una politica positiva di gestione del fenomeno, senza preoccuparsi di perdere consenso (lo ha già comunque perso), senza precalcoli di convenienza e senza collocarsi a mezza strada nelle guerre fra poveri (i poveri sono tali e non vanno distinti a seconda del colore della pelle).

Non mi interessano le balle salviniane (mi fanno solo ribrezzo), non mi accontento delle oscillazioni dimaiane (mi fanno solo pena), non mi lascio fuorviare dalle stonature di un dibattito mediatico fine a se stesso (mi fanno rabbia),  non mi bastano le commozioni del momento (mi fanno pensare alle lacrime di coccodrillo); è ora di finirla di piangere sul mare versato sopra i barconi della vergogna, è ora di esigere chiari, seri e forti impegni sul problema enorme delle disuguaglianze, di cui i flussi migratori sono un effetto da non enfatizzare, ma da non sottovalutare. Ricominciare a fare politica oggi significa ascoltare la disperazione di chi preferisce morire piuttosto che rimanere nei campi libici di concentramento, molto simili a quelli nazisti. Anche allora le nazioni fecero finta di niente, si voltarono dall’altra parte, perfino il Vaticano rimase prigioniero della realpolitik religiosa. Mentre il Vaticano ha cambiato musica, noi stiamo tornando all’omertà razzista di un tempo.