À bas la France, viva l’Italia

La storia europea è sempre stata caratterizzata dal conflitto tra Francia e Germania: due Stati in cerca di un primato a costo di guerre e scontri epocali. I rapporti tra Francia ed Italia, senza esser così decisivi e fondamentali come quelli appena ricordati, non sono mai stati idilliaci. Mi basta ricordare aneddoticamente come un mio conoscente, volendo far capire i rapporti piuttosto burrascosi con la propria moglie, l’aveva soprannominata “Francia”.

Niente di strano quindi se ancor oggi i rapporti possono essere piuttosto tesi tra il nostro Paese e la Francia. L’assurdità sta nei pretestuosi e strumentali motivi del contendere: la Francia a detta del vice-premier Luigi Di Maio persisterebbe in una sorta di politica coloniale tesa a prosciugare ricchezze dei Paesi africani, impoverendoli e causando l’emorragia da cui provengono migliaia di immigrati annaspanti davanti alle nostre coste.

Se è vero che gli interessi economici europei hanno impedito ed impediscono un equilibrato sviluppo dei  Paesi africani (non solo quelli francesi, ma anche quelli italiani), se è vero che l’irreversibile casino libico post-Gheddafi  è una grossa e colpevole responsabilità francese  (leggi Sarkozy), se è vero che anche l’era Macron non ha sgombrato il campo transalpino da dubbi ed equivoci, è altrettanto vero che non esiste un comprovabile ed esauriente rapporto di causa-effetto tra le politiche internazionali francesi è la fuga dai Paesi africani verso l’Europa.

La polemica scoppiata, che ha portato persino le parti sull’orlo di una crisi diplomatica, ha infatti ben altre motivazioni e scopi. Innanzitutto parte col piede sbagliato: un vice-premier, all’insaputa del Presidente del Consiglio, del Ministro degli Esteri e del Capo dello Stato, parte lancia in resta per sputtanare i cugini d’oltralpe con atteggiamenti manichei e argomenti frusti. Si tratta molto probabilmente di pure scaramucce preelettorali volte a segnare una concezione europea spregiudicatamente rissosa e strumentalmente faziosa. Siamo già al solito tentativo di recuperare consenso all’interno scontrandosi all’esterno: il M5S sente puzza di bruciato nel calo di popolarità della sua azione di governo e quindi alza la voce contro i nemici per ricompattare gli amici. Storia vecchia decrepita!

Un secondo probabile motivo di questa levata di scudi antifrancese sta nella tattica unicamente polemica di due formazioni politiche. M5S e Lega, incapaci di fare serie proposte e specializzati nel demolire quelle altrui. Su ogni tema e problema il dibattito scende a livello squisitamente polemico e violentemente verboso. Quando un litigante si accorge di non avere argomenti è portato a urlare a vanvera per coprire il proprio sostanziale silenzio. La si butta continuamente in rissa e ogni pretesto è buono per scatenarla. In questi giorni il governo è in chiara difficoltà sui temi dell’immigrazione e dell’economia. Ebbene si reagisce tentando di demolire le istituzioni interne ed internazionali, che stanno sollevando, direttamente o indirettamente, dubbi e perplessità sull’azione di governo italiana: la Francia appunto, Bankitalia e Il Fondo Monetario Internazionale. Non si risponde ai loro argomenti, ma si preferisce ributtare la palla nella metà campo altrui invertendo le critiche: la Francia guardi la sua politica coloniale, la Banca d’Italia guardi le banche a cui non ha saputo prestare la necessaria attenzione, il Fmi guardi i disastri che ha combinato nel mondo economico-finanziario. È il modo per salvarsi in corner, ma per accentuare la propria posizione disperatamente difensiva, che porterà inevitabilmente ad incassare goal e a perdere le partite. Qualcuno nella confusione butta addirittura la palla in tribuna: un senatore grillino, nel commentare l’attuale momento storico, è arrivato al punto di adottare uno schema interpretativo che è stato uno dei capisaldi teorici che giustificarono lo sterminio nazista degli Ebrei (non faccio nomi e non entro nel merito, perché siamo nella follia pura e i malati di mente andrebbero curati e non spediti in Parlamento).

Ci sarebbe un terreno adatto su cui misurarsi con la Francia: quello di proporre un’alleanza sviluppista tra i Paesi del Sud-Europa. Sarebbe un bel chiarimento sulla politica economica, sempre imprigionata   nello scontro fra rigoristi del bilancio e sviluppisti del lavoro. Sarebbe uno scoprimento degli altarini franco-tedeschi, su cui si celebrano i patti di potere fra i due contendenti storicamente portati più a comandare che a collaborare. Questo sarebbe fare politica estera. Ci si accontenta invece di fare i politicanti: in Italia ci si può anche riuscire, fuori dai confini nazionali casca l’asino.