Maglie per tutte le occasioni

Insomma, questi autorevoli (?) vicepremier non ne azzeccano una. Un po’, effettivamente, esagerano a livello di esposizione mediatica, un po’ sono in continua e smaccata propaganda, un po’ non hanno l’equilibrio necessario a coprire certi incarichi, un po’ non sono mostri di coerenza, un po’ c’è chi non aspetta altro che beccarli con le dita nella marmellata. Luigi Di Maio è andato in visita ai luoghi etnei colpiti dal terremoto ed ha indossato la maglia della Protezione civile. L’ex capo di questo Dipartimento, Guido Bertolaso, in una lettera aperta gli ha chiesto di togliere quella maglia, indossata, a suo dire, per motivi propagandistici.

Nella missiva pubblicata dal Corriere della Sera, Bertolaso si è rivolto con toni non proprio “soft” al ministro del Lavoro: “Capisco che deve cercare di scimmiottare il suo collega che con la maglia della polizia si fa fotografare con avanzi di galera, ma quello almeno è coerente e ha inoltre la delega per quel settore. Lei, con i suoi colleghi e opinionisti, signor Di Maio, non ha mai esitato nel gettare fango su quell’istituzione della quale oggi si ammanta, ci ha insultati a L’Aquila, dove solo oggi si rende giustizia al nostro operato anche, ahimè, facendo paragoni dolorosi con le recenti tragedie. Se vuole indossarlo, quello stemma, caro Ministro, cominci con il rendere omaggio alle tre medaglie al merito civile che quella maglia si è guadagnata nei primi anni di questo millennio e chieda scusa per quell’abominevole tassa sul terzo settore dal quale provengono quegli splendidi volontari che non hanno mai avuto vergogna ad indossarla, quella maglia”.

Dalle parole di Bertolaso traspare tutta l’amarezza e la rivalsa per essere stato in passato messo brutalmente sul banco degli imputati con accuse riguardanti la sua gestione della Protezione civile. Come troppo spesso accade nel nostro Paese a livello giudiziario, a distanza di tempo è stato scagionato, quando ormai la frittata era fatta. Tuttavia se togliamo questo dente avvelenato, nelle sue dure parole troviamo una perfetta sintesi fotografica del modo di stare in politica di Luigi Di Maio e compagnia cantando.

Quando erano all’opposizione, in Parlamento e nelle piazze distruggevano sistematicamente e continuamente tutto ciò che passava loro dinnanzi: istituzioni, strutture, leggi, regolamenti, strumenti; tutto rientrava, a loro dire, nella pattumiera di regime dei cosiddetti poteri forti. Buttavano via precipitosamente e demagogicamente il bambino assieme all’acqua sporca; ora che si sono installati al governo, i bambini gettati tra i rifiuti organici tornano d’attualità e si trovano a doverli gestire e per forza di cose a doverli rivalutare e utilizzare. Non solo, ma addirittura, facendo buon viso a cattiva sorte, cavalcano quelle tigri che un tempo volevano abbattere, perpetuando una sorta di circo equestre della politica. A volte però sfugge loro di mano la situazione e si danno martellate sulle dita, attaccando e danneggiando proprio quelle cose su cui dovrebbero imbastire la tanto sbandierata loro azione rinnovatrice.

Ne sortisce l’effetto teorico e pratico di un polpettone populista, per ora gradito a molti cittadini, che presto diventerà stomachevole o addirittura vomitevole. Tanto va la gatta ala lardo che ci lascia lo zampino. Vale per i cinquestelle ed i leghisti, che non perdono occasione per “fanfaroneggiare”; vale per i cittadini che li hanno eletti, i quali si trovano improvvisamente, come sta succedendo per i pensionati, ad essere impallinati dalle armi degli amici. Nelle guerre si dice siano parecchie le vittime del fuoco amico e siccome questi signori hanno dichiarato guerra alla politica, tra gli applausi degli ingenui e degli arrabbiati, molti rimarranno sul campo a leccarsi le ferite lievi, a digrignare i denti per le ferite gravi, a morire per i colpi più brutali o più difficili da evitare. E guerra sia, con tanto di magliette indossate per l’occasione, cambiando idea così come si cambia una maglia.