La improbabile Boccia…tura del governo

Nel nostro Paese c’è il brutto vizio di puntare più alla pesante critica verso l’operato altrui piuttosto che tentare di fare al meglio il proprio mestiere. Vale a livello di base, ma anche e soprattutto a livello di vertice. L’idraulico, prima di cominciare il proprio lavoro di manutenzione e riparazione, non manca di scuotere il capo su chi ha progettato e installato l’impianto. Il presidente vuole insegnare al direttore come tenere la penna in mano, il direttore punta a fare il presidente. I Parlamentari, anziché impegnarsi a fare buone e chiare leggi, con la scusa di tenere i rapporti con i loro elettori, diventano veri e propri operatori mediatici, che fra un’intervista e l’altra (non) trovano il tempo di elaborare provvedimenti legislativi adeguati alle problematiche del Paese. Si potrebbe continuare, ma mi soffermo invece, con un commento più lungo del solito, sulle organizzazioni imprenditoriali.

In questi giorni a Torino si sono riuniti almeno 3 mila imprenditori in rappresentanza di una dozzina di categorie produttive, Confindustria, artigiani cooperative, commercianti, imprese edili, definiti il partito del Pil. Dopo settimane durante le quali hanno chiesto al governo interventi per sostenere lo sviluppo, gli investimenti e la realizzazione delle grandi opere, sono andati giù duri: «Se siamo qui significa che siamo ad un punto quasi limite di pazienza, per mettere insieme 12 associazioni tra cui alcune concorrenti tra loro. Se siamo qui tra artigiani, commercianti, cooperative, industriali, qualcuno dovrebbe chiedere perché. La politica è una cosa troppo importante per lasciarla solo ai politici. Noi stiamo facendo proposte di politica economica per evitare danni al Paese. Siamo 12 associazioni che rappresentano 3 milioni di imprese, oltre il 65% del Pil, un segnale importante che si vuole dare al governo del Paese. Si parte dalla Tav chiaramente, si pone la questione infrastrutture, in senso largo, grandi e piccole infrastrutture per il Paese, e si pone un auspicio, che è quello di un’attenzione alla crescita. Gli interventi messi in campo dal governo stanno trascurando il motore della crescita. La manovra è tutta spostata sulla spesa corrente senza però strumenti per sostenere la crescita». Così si è espresso, a nome dell’intera e larga platea, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, il quale ha concluso il suo discorso in questi termini: «Se fossi in Conte convocherei i due vicepremier e gli chiederei di togliere due miliardi per uno, visto che per evitare la procedura d’infrazione bastano 4 miliardi. Se qualcuno rifiutasse, mi dimetterei e denuncerei all’opinione pubblica che non vuole arretrare. Una promessa a Di Maio: se ci convoca tutti non lo contamineremo. A Salvini, che ha preso molti voti al nord, dico di preoccuparsi dello spread».

Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Purtroppo le organizzazioni imprenditoriali di peccati ne hanno parecchi: infatti sono in evidente crisi di rappresentanza e credibilità nei confronti dei loro associati e probabilmente questo affondo anti-governativo è strumentale a riprendere voce e peso più all’interno che all’esterno. Ricordo molto bene la sciagurata scelta confindustriale di sposare tout court il berlusconismo, strategia rivelatasi a dir poco sbagliata, intrapresa ancor più smaccatamente e irrazionalmente dalla Confcommercio (che arrivò ad esprimere chiara ostilità elettorale a Romano Prodi). Per onestà intellettuale bisogna fare queste premesse.

Dopo di che posso essere perfettamente d’accordo (o quasi) nel merito delle critiche sostanziali mosse al governo e confesso di avere una reazione analoga a quella del famoso musicologo Rodolfo Celletti, a proposito del pubblico e del loggione del Teatro Regio, diceva: «Quando strigliate qualche grosso cantante dimostrando di non avere timore reverenziale verso i mostri sacri dell’opera lirica, confesso che, sotto-sotto, ci godo…». Mi chiedo però chi abbia votato questi signori che ci stanno portando alla deriva. Non mi si dirà che i tre milioni di imprese (a livello elettorale sono molti di più, considerando almeno i soci e i loro familiari) non abbiano nemmeno parzialmente sostenuto Lega e M5S. Allora, prima di sbraitare bisogna fare ammenda. Poi si può anche pontificare, altrimenti i Salvini e i Di Maio la butteranno nel luogo comune dei poteri forti autoreferenziali e faranno orecchie da mercante, a meno che in vista delle sicure elezioni europee e delle probabili elezioni politiche, non si spaventino e non facciano pubblica ed operosa ammenda. Non ci credo troppo e soprattutto non è così che si deve sviluppare il dialogo tra politica e forze intermedie.

Quanto al presidente Conte non mi sento di affondare i colpi: a volte lo sento parlare e, usando l’espressione cara a mio padre, ammetto che “non è un gabbiano”; poi alla prova dei fatti lo vedo come l’evanescente e poco dignitoso ostaggio dei suoi vice. Un opportunista? Purtroppo sì. Se Salvini e Di Maio toglieranno in tutto o in parte i quattro miliardi relativi alle loro promesse elettorali, non sarà certo per un’impennata di carattere del presidente Conte, e forse nemmeno per la sollevazione del parterre economico, ma per ben più alte, prestigiose ed autorevoli insistenze e pressioni. Più che verso la piazza imprenditoriale la mia speranza è indirizzata ai palazzi istituzionali italiani ed europei. Non c’è bisogno che dica di più.