Il coraggio della rinuncia

“Mi ritiro dalla corsa”. Marco Minniti in una intervista a Repubblica spiega di avere preso questa decisione “per salvare il PD”. Infatti, dice “c’è il rischio che nessuno dei candidati raggiunga il 50% e arrivare al congresso così “sarebbe un disastro”. “Con Renzi non ci siamo sentiti – dice – ma spero che nessuno pensi a scissioni perché indebolire il PD oggi significa indebolire la democrazia italiana (…) e una scissione sarebbe un regalo ai nazional populisti”. Poi punta il dito contro Lega e M5S: “Abbiamo un governo che in 6 mesi ci ha portato a un passo dalla recessione”.

Peccato! Una persona seria e capace fatta fuori sbrigativamente o meglio, un esponente politico, che capisce la delicatezza del momento e si fa da parte per tentare di semplificare la bagarre all’interno del PD. Ritirandosi dalla corsa, Minniti fa tre inviti che mi sento, nel mio piccolo, di condividere pienamente. Innanzitutto mettere ordine nel pollaio dove troppi galli si contendono le galline, mentre le galline andrebbero rispettate, capite e aiutate. In secondo luogo non pensare e lavorare per allestire un altro pollaio: la volpe e la faina non aspetterebbero altro. In terzo luogo fare opposizione ad un allevatore di polli, che ci sta costringendo ad essere vegetariani.

Chiedo scusa della similitudine animalesca, che tuttavia penso renda l’idea. Perché in politica, ma non solo in politica, le persone serie non riescono ad incidere sulle situazioni e sono costrette a farsi da parte? Viviamo l’epoca del trionfo dei cialtroni, favorito dalla insulsa bagarre mediatica e dalla superficialità ai limiti del menefreghismo. Guardavo con una certa attenzione a Marco Minniti: lo ritenevo adatto a guidare il PD nella fedeltà ai principi, ma anche nella concretezza delle soluzioni. Lo ritenevo un politico serio, capace di sintetizzare la storia della sinistra italiana e di trasferirla dal campo delle velleità a quello delle volontà risolute ed efficaci. Evidentemente sono diventato una sorta di Re Mida a rovescio: tutto quello che politicamente mi piace svanisce in breve tempo. I casi sono tre: o non capisco niente di politica o la politica non fa per me oppure il mondo è talmente cambiato che non riesco a tenergli dietro. Magari di tutto un po’.

Ammetto di essere rinunciatario per natura e quindi di ammirare coloro che hanno il coraggio di rinunciare. Qualcuno pensa che questo atteggiamento dipenda da presunzione e da pigrizia. Per me può anche darsi. Per Minniti non credo. Mio padre rispettava ed ammirava i veri maestri ma non sopportava i finti maestri, supponenti e chiusi nella loro presunta superiorità accademica. Riporto in merito un piccolo episodio che raccontava con un po’ di dispetto e di astio verso chi sa darsi dell’importanza, verso chi si fa dare del lei dal garzone, ma alla fine mostra la sua grassa ignoranza.

Al termine dei lavori di costruzione di una moderna chiesa periferica di Parma, così essenziale da essere definita da mio padre “l’amàs dal gràn”, gli architetti si accorsero con sorpresa che il soffitto a capanna sembrava piatto, perché la pendenza dei due lati era insufficiente (la terminologia non è precisa e chiedo scusa agli architetti, a quei due in particolare). Mio padre si scandalizzò ma non disse nulla e tra sé pensò che “l’amàs dal gràn” stava emergendo inequivocabilmente ed irrimediabilmente. Era tardi e non si poteva ovviare, pena rifare completamente il tetto (rimedio inattuabile). La pensata per uscire dalla clamorosa impasse fu di dipingere il soffitto a due tonalità diverse di colore in modo da prendere lucciole per lanterne. Mio padre eseguì e tacque, ma non digerì la questione che divenne paradigmatica per bollare l’atteggiamento dei progettisti supponenti.

Se da una parte simpatizzava per l’umiltà dell’impegno, dall’altra finiva per cedere amaramente, peraltro solo a parole, alle convenzioni di un mondo sbagliato: “S’at spét che l’importansa a t’la daga chiètor…bisogna lavorär ‘d gommod”. Evidentemente Marco Minniti ha preferito risparmiare i propri gomiti, puntare l’indice della propria mano per poi mettersi le gambe in spalla.