Un profumato vento di femminismo

In questi giorni ho visitato una mostra di pittura, che esponeva le opere creative di quattro donne: sono rimasto impressionato dalla loro capacità di coniugare e sintetizzare artisticamente, persona e natura, passato e presente, sacro e profano, sofferenza e speranza, innocenza e riscatto, amore e lotta. Solo la donna è capace di cambiare il mondo, è capace di “sviolentare” le religioni e i conflitti sociali, di combattere per la giustizia senza fare guerre, di proporsi con la forza della sua debolezza e con la debolezza della sua forza.

Quattro pittrici, Enrica Gibin, Agata Maugeri, Mara Montagna, Andreina Spotti: migliore testimonianza non poteva venire in vista della celebrazione della giornata contro la violenza sulle donne. “Tracce, frammenti, memorie” offerti con delicata convinzione: una piccola grande sfida, che non può venire solo dalle pionieristiche e fulminanti carriere delle “privilegiate”, ma dalle umili e pazienti testimonianze delle “impegnate”.

Andreina Spotti mi ha confidato, con malcelata timidezza, che, quando dipinge, riesce a creare intorno a sé un habitat artistico a misura di donna: c’è persino un profumo avvolgente e coinvolgente. Non faccio fatica a crederlo, guardando la femminilità prorompente e sgorgante dai suoi dipinti.  Una candidatura a donna di mondo nel suo piccolo (grande) laboratorio creativo.

Molti anni fa scrissi un provocatorio omaggio alle donne, ricordando emblematicamente mia nonna materna, una vedova autoemancipata, madre Teresa di Calcutta, la soluzione vivente al problema del sesso degli angeli, le suore di clausura, le migliori cosmetologhe possibili e immaginabili. Quanti rimbrotti ebbi da amiche e colleghe! Sono ancora sostanzialmente di quel parere a costo di fare la figura del retrogrado; continuo imperterrito a correre il rischio della retorica.

Il paradosso del mondo sta nel fatto che l’amore ci divide, la violenza ci accomuna. E che ci accomuna è soprattutto la violenza contro le donne: da una parte ci scandalizziamo delle torture e delle discriminazioni operate dai musulmani salvo poi cadere sostanzialmente nelle stesse prassi rivedute e corrette (?).

Mi sembra resti aperta nell’Islam (non solo quello radicale o radicaleggiante), grande come una casa, la questione femminile. Non è certo di buon auspicio che i musulmani, anziché affrontarla con serietà e umiltà, facciano una camaleontica difesa d’ufficio delle loro usanze pseudo-religiose, inventando assurde mode da “ultima spiaggia”.

Dal canto nostro, nella (in)civiltà occidentale, abbiamo ridotto la donna a bambola gonfiabile e non ci accontentiamo di agitarla prima dell’uso, ma la distruggiamo dopo l’uso. La violenza contro le donne è una costante della storia: dalle streghe messe al rogo alle bambine infibulate, dai chador imposti alle donne musulmane ai nudi imposti dal più bieco consumismo, dalle diavolesse agli angeli del focolare, dalle macchine per fare figli alle prostitute bambine.

Sotto queste violenze c’è oltretutto sempre l’inganno: da una parte l’illusione di essere “padrone di casa”, dall’altra il miraggio della parità di difetti.  Il maschilismo cambia pelle, ma rimane intatto nella sua portata culturale, politica e religiosa. Il femminicidio altro non è che la punta di un iceberg. Non voglio esagerare, ma mi sembra che l’unico capovolgimento radicale e globale nei confronti della considerazione e rivalutazione del mondo femminile sia quello predicato e praticato da Gesù. E non fu un caso se andò in croce e se sotto la sua croce si ritrovarono solo uno sparuto gruppo di donne. Ricordiamo che la prima persona a capire la novità assoluta del cristianesimo fu una donna (Maria Maddalena la prima a credere al Risorto). Non i membri di qualsiasi sinedrio, non gli zelanti osservanti di qualsiasi religione, non gli intellettuali di qualsiasi epoca. Una donna! E noi? Delle donne sappiamo solo fare scempio: su questo ci troviamo tutti d’accordo.