L’audiologia proibita allo Juventus stadium

Esistono accadimenti che, per loro natura o per loro conseguenze oggettive, diventano fatti la cui portata ed il cui rilievo comportano attenzione, riflessione, critica, dibattito, scontro etc. Ve ne sono altri che, pur essendo oggettivamente irrilevanti o addirittura insignificanti, assurgono a grande importanza per la distorta sensibilità collettiva, spesso accesa a livello mediatico. Un lungo giro di parole per dire come la più banale delle cazzate possa monopolizzare l’attenzione e la discussione di tanta gente. È sicuramente il caso dell’innocuo e banale gesto rivolto da José Mourinho al pubblico dello stadio torinese al termine della partita di calcio, a livello di champions league, tra Juventus e Manchester United, finita inaspettatamente con la vittoria della squadra inglese allenata dal suddetto tecnico portoghese. Ci casco anch’io e porto acqua al mulino chiacchierone delle futilità.

Dopo aver sopportato cori offensivi durante l’intera partita, alla fine, ringalluzzito dalla clamorosa rimonta della sua squadra avvenuta con due goal negli ultimissimi minuti di gioco, Mourinho si è rivolto al pubblico portando la mano all’orecchio per chiedere provocatoriamente cosa avessero intenzione di urlare in quei momenti di grandissima delusione o se avessero perso improvvisamente la voce. È vero che il rapporto tra questo tecnico e il pubblico juventino è molto teso e risale al fatto che Mourinho abbia allenato l’Inter, la storica acerrima rivale della Juventus, ottenendo nella stessa stagione la vittoria nelle tre competizioni calcisticamente più importanti, vale a dire il campionato italiano, la champions league e la Coppa Italia. Lui si è sempre fatto scudo del cosiddetto triplete per rispondere alle critiche, lasciando intendere che i tifosi juventini devono starsene zitti e potranno parlare quando la loro squadra avrà raggiunto un simile articolato traguardo.   Alla spazzatura da rissa di cortile fa riscontro una rivalsa da asilo infantile.

Detto questo vorrei capire cosa c’è stato di tanto sconveniente e censurabile in quel gesto, peraltro praticato da tutti i calciatori beccati dal pubblico e successivamente autori di goal. Mio padre la chiamava “arlìa”. Certo, se praticata da imbecilli, può diventare l’innesco per offensivi scontri verbali o addirittura per sfoghi di violenza.  Io non ho trovato nulla di scandaloso nel comportamento di Mourinho, se non la “giusta” rivalsa verso chi lo voleva ridicolizzare. I grilli parlanti, irritati dalla sconfitta della vecchia signora, l’hanno messa sul piano della mancanza di professionalità. Ma fatemi il piacere…Nel mondo del calcio la correttezza professionale è un optional per tutti: giornalisti che friggono il tifo per poi lamentarsi delle scottature, giocatori che si comportano come viziati bamboccioni, allenatori malati di “primadonnismo”, arbitri pagati per commettere errori, presidenti che giocano a sfondare i bilanci e a quadrarli con la fantasia, tifosi che non fanno il tifo, ma vanno allo stadio per sfogare le loro frustrazioni e i loro peggiori istinti. Non si salva nessuno, è un mondo sempre più malato e sporco. Smettiamo quindi immediatamente i panni moralistici, accettiamo la sconfitta con quell’eleganza, che effettivamente non è il pezzo forte del bizzoso allenatore del Manchester United.

Mio padre era maestro nello sferzare il calcio, un gioco che amava e seguiva con grande interesse, ma da cui restava disgustato ogniqualvolta veniva oltrepassato il limite del buongusto e della sacrosanta rivalità sul campo e negli stadi. Durante un Parma-Sampdoria di coppa Italia di parecchi decenni fa, nelle file della blasonata e simpatica squadra di Genova militava un fuoriclasse a fine carriera, il quale aveva espresso il meglio di se durante i campionati precedenti giocati nella Fiorentina: si trattava di Lojacono. Il suo aspetto esteriore era quello tipico del giocatore a fine carriera: qualche chilogrammo in più, il passo un po’ lento, forse qualche capello grigio. Per la verità ricordo che la sua, in quell’occasione, non fu una prestazione di rilievo. Venne trotterellando, senza fretta, quasi con scetticismo, a battere un calcio d’angolo nella zona di campo prospiciente la gradinata dove tra gli altri era piazzato anche mio padre (c’ero anch’io). Il solito assurdo e stonato tifoso non trovò di meglio che far tuonare (intorno c’era silenzio) la propria voce nell’urlo di scherno “Lojacono bidone”, che fu sentito distintamente da tutti, compreso l’interessato il quale, scrollando il capo, senza voltarsi verso il suo detrattore, allargò simpaticamente le braccia in un gesto, che voleva dire tutto e niente, ma che certamente sdrammatizzava con intelligenza la situazione e ridicolizzava lo sfogo del tifoso parmense. A quel punto mio padre, che amava bollare le vicende ridicole e non si lasciava sfuggire la possibilità di sottolinearle in modo sarcastico, lanciò il suo acido e personale commento di sintesi e disse rivolto all’incauto tifoso: “A sarìss cme där dal povrètt a Barìlla s’al magna ‘na sigolla”.

In conclusione, il pubblico juventino avrebbe fatto meglio a tacere o almeno ad aspettare la fine della partita e forse Mourinho avrebbe fatto meglio a prendere lezione da Lojacono: un personaggio del quale non gli è forse nota la storia. I giornalisti sarebbe meglio che si andassero a nascondere. Io avrei fatto meglio a non prendere in considerazione questo fatto(?), ma la frittata è fatta.