L’anti-politica egemonizza la non-cultura

Dentro alla pattumiera televisiva riesco a recuperare ed a seguire con un certo interesse i programmi di carattere culturale, storico e politico (per questi ultimi occorre un attento discernimento, in quanto abbonda la robaccia pseudo-politica). Dalla visione critica di queste rubriche emerge un livello qualitativo piuttosto elevato di quella che potremmo definire, con un termine riduttivo ed aristocratico, l’intellighenzia nazionale. Ed allora sorge spontaneamente una domanda: come mai a questa solida e valida radice fa riscontro una pianta politica con rami mai così secchi come quelli attuali? come mai esiste una discrasia così evidente e clamorosa fra l’elaborazione culturale e la proposta politica? come mai non c’è collegamento fra le due sponde, quella culturale e storica da una parte e quella politica dall’altra. La difficoltà di rapporti fra questi mondi è sempre stata problematica, la crisi delle ideologie l’ha accentuata, il berlusconismo l’ha istituzionalizzata, ma il pentaleghismo l’ha drammatizzata e portata alle estreme conseguenze.

Non mi sono mai illuso che, per sposare indissolubilmente e proficuamente cultura (intesa come storica elaborazione scientifica ed artistica) e politica (intesa come approccio gestionale all’amministrazione della cosa pubblica), sia sufficiente piazzare un luminare della medicina al ministero della salute, un economista coi fiocchi al ministero dell’economia, uno psicoterapeuta di fama indiscussa al ministero dell’istruzione e via discorrendo. Quando modestamente ho avuto modo di impegnarmi a livello di programmazione e gestione teatrale, ho potuto verificare l’inguaribile inconcludenza di molti addetti ai lavori, dispersi nelle loro elucubrazioni teoriche a dispetto dei sipari, che attendevano concretamente di aprirsi. Un conto è parlar di morte, un conto è morire, anche se dovrebbe essere utile prepararsi a ben morire.

Tuttavia la politica, come la musica, non ammette cultori improvvisati: non ci si improvvisa sindaci, assessori, parlamentari e ministri, andando ad orecchio o per sentito dire. Dovrebbe quindi sussistere una certa osmosi fra chi incarna la politica e chi studia i fenomeni da governare. È pur vero che è più facile pontificare dall’alto di una cattedra universitaria piuttosto che affrontare i problemi della società, ma di qui a istituzionalizzare l’impreparazione al limite dell’ignoranza, per coloro che assumono importanti cariche, esiste molta ed incolmabile differenza.

L’inadeguatezza dei personaggi politici che attualmente vanno per la maggiore la si nota anche facendo il raffronto con i politici del più recente passato, senza scomodare i mostri sacri della cosiddetta prima repubblica. In certi esponenti leghisti e pentastellati (non solo in questi movimenti, ma soprattutto in essi) si riscontra la totale mancanza di cultura, di professionalità, di esperienza, coperta da un fanatismo parolaio e aggressivo. Come è possibile che gli italiani abbiano la dabbenaggine di mettere il Paese nelle mani di questi occasionali frequentatori dei palazzi della politica. Storicamente si osserva come un tempo il partito comunista sia riuscito a egemonizzare la cultura, mentre la democrazia cristiana egemonizzava la politica: non finiva tutto lì, perché la cultura era comunque in grado di stimolare la politica e la politica obtorto collo doveva ascoltare le proposte culturali emergenti o comunque fare i conti con esse.

Oggi abbiamo invece una certa (anti)politica che bypassa un po’ tutto per raggiungere direttamente il popolo, offrendo ad esso illusorie soluzioni quali risposte alle sue paure. La cultura, l’esperienza, la storia, la professionalità, la scienza sono considerati retaggi del passato, pericolose armi del potere, cianfrusaglie da mettere in cantina o in solaio. Sono atteggiamenti tipici dei regimi autoritari o comunque antidemocratici. Basta vedere con quanta sufficienza (non) vengono ascoltate le voci critiche, le analisi dissonanti, i discorsi contrastanti.  Tutti stupidi, tutti in mala fede, tutti a difesa dello status quo: dal presidente della BCE a quello della Repubblica, dai membri della Commissione europea alle agenzie di rating, dal Fondo monetario internazionale agli organismi mondiali impegnati ad osservare gli andamenti economici, dal Papa ai sindaci d’assalto, dalle Ong ai burocrati di Bruxelles, dai mercati finanziari alle banche, dalla Corte dei conti a chiunque ragiona con la propria testa. Non si entra minimamente nei contenuti, ci si limita a criminalizzare la critica da qualsiasi parte arrivi. Se questo non è fascismo, cos’è?