La guerriglia autoreferenziale

A volte serve ritornare sui propri passi. Nel maggio 2017, commentando l’elezione di Emmanuel Macron a presidente della repubblica francese, scrivevo che la politica deve ritrovare la forza di offrire seria, positiva e democratica rappresentanza alle istanze popolari abbandonando ogni e qualsiasi spinta populista, deve rilanciare l’ideale europeista sganciandolo dalle rigide e burocratiche impostazioni, deve aprire la società convincendo i cittadini che i problemi si risolvono aprendo porte e finestre e non chiudendole ermeticamente, deve prospettare una classe dirigente rinnovata e credibile, deve tarare istituzioni e programmi  sui bisogni dei cittadini e non il contrario. Mi chiedevo se Emmanuel Macron fosse in grado di avviare simili processi e se bastassero alcune interessanti premesse valoriali e di metodo: una certa credibilità gli veniva dal non essere legato agli schemi politici tradizionali; si era presentato come un europeista ultra-convinto; aveva un approccio alla politica anti-ideologico, moderno e pragmatico; prometteva di coniugare al meglio libertà, uguaglianza e solidarietà.

A distanza di oltre un anno il presidente francese non fa un bilancio positivo: quanto sta succedendo in Francia lo dimostra. La rivolta dei gilet gialli ne segna un brutto resoconto. Intendiamoci, non do alcuna credibilità a queste improvvisate rivoluzioni basate sulla generica indignazione dell’antipolitica, non concedo comprensione e tanto meno solidarietà agli “sfasciavetrine” della protesta fine a se stessa: senza politica queste rivolte si prestano alle strumentalizzazioni populiste dell’estrema destra in cerca di consenso e dell’estrema sinistra in cerca di identità. Sono destinate a durare l’espace d’un matin, lasciano sul campo macerie di ogni tipo, avvelenano il clima sociale nascondendo i problemi reali sotto l’inutile violenza. Sono tuttavia un sintomo del malessere e impongono serie riflessioni ai governanti.

In estrema sintesi direi che la politica deve ritrovare la capacità di condire la pragmaticità del mercato con la prospettiva della solidarietà. In Italia, mentre la sinistra ha fallito su questo piano, forse più dal punto di vista del consenso che da quello realizzativo, il movimento cinque stelle ha provato a intercettare queste spinte ribelli traducendole in rappresentanza politica e addirittura governativa. Ho concesso un minimo di credito iniziale a questo improbo tentativo, che si sta rivelando un fallimento estremamente pericoloso. In poche parole il suddetto difficile legame tra sviluppo e uguaglianza non ha trovato sbocco nella speranza solidale, ma nell’illusione populista, con la conseguenza di non evitare le macerie nelle strade, ma di portarle nelle istituzioni.

La rivolta francese mette in grave imbarazzo la presidenza di Macron, ma dimostra soprattutto che non si può vivere di indignazione continua; tutt’al più, scendendo in piazza con intenzioni bellicose, si sopravvive alla frustrazione del momento, ma si allontana la soluzione dei veri problemi. Resta aperto il problema della risposta politica. L’Italia, come detto, sta dimostrando che la scorciatoia del grillismo non porta da nessuna parte, anzi rafforza la destra estrema molto più capace di interpretare in senso deteriore le ansie popolari traducendole nel solito e storico populismo reazionario. Alle paure della gente non si sta rispondendo con la speranza delle riforme, ma con l’illusione delle risposte facili o con la concretezza delle risposte sbagliate. Io, con tutti i dubbi e le perplessità, non vedo altra strada rispetto alla sinistra politica seppur riveduta e corretta. Infatti anche la novità di Macron, chiusa nel suo respiro tecnicistico e burocratico, sta pagando dazio, non solo ma anche per effetto della guerriglia dei gilet gialli.