Il PD a prescindere da Renzi

La mia modesta esperienza di partecipazione alla vita politica attiva, a livello di partito (democrazia cristiana) e a livello istituzionale (consiglio di quartiere), mi ha insegnato che per capire cosa avviene nei consessi (assemblee, congressi, comitati) bisogna essere presenti e non accontentarsi delle cronache giornalistiche, dei retroscena, delle ricostruzioni più o meno fantasiose.

All’assemblea del Pd, che ha avviato la fase congressuale del partito, non ho partecipato (non sono nemmeno iscritto), non ho notizie di prima mano (da chi ha effettivamente partecipato ai lavori) e quindi vado a tentoni e faccio molta fatica a capire cosa stia bollendo nella pentola di questo partito.

Un altro insegnamento derivante dall’esperienza è quello della “presenza degli assenti”. Quando qualche pezzo grosso brilla per la sua assenza (generalmente studiata dall’interessato), il dibattito rischia di incartarsi sul significato da dare a questa sedia vuota, sulla critica alla diserzione o sull’apprezzamento del passo indietro, che molto spesso vuole essere un grande passo avanti. L’assenza di Matteo Renzi alla recente assemblea precongressuale del Pd ha catalizzato l’attenzione mediatica: cosa sta succedendo? L’ex premier ed ex segretario cosa sta facendo o cosa sta pensando di fare? Come minimo un nuovo partito? Come massimo una nuova corrente…di pensiero? Sicuramente Renzi fa parte dell’ampia categoria dei protagonisti a tutti i costi ed avrà tatticamente ritenuto conveniente snobbare l’assemblea per essere appunto protagonista, assai più che se fosse intervenuto direttamente per esporre le proprie idee. È un giochetto che funziona in modo proporzionale alla levatura culturale e politica dell’assente: può essere un fatto traumatico se il personaggio è di grande peso, può essere addirittura un fatto patetico se il personaggio è in crisi irreversibile. Non so sinceramente dove collocare Renzi in questa fase e temo che stia rivelando la sua peggiore fisionomia: quando era sulla cresta dell’onda governativa, la sua verve aveva un senso e otteneva anche una mia personale (relativa) simpatia; fuori dal governo gli altarini si scoprono e la capacità politica diventa un problema serio: una sorta di prova del nove. Al momento non torna e credo serva a poco abbandonare la scena per preparare un rientro alla grande, magari anche recitando un’altra commedia.

Aldo Moro in una fase della vita democristiana, abbandonò gli incarichi di partito, si fece da parte perché non condivideva la linea politica portata avanti dalla segreteria: non si eclissò, non ipotizzò un nuovo partito, non si divertì a rompere le scatole ai colleghi impegnati negli organi di partito. Parlò dalle colonne del quotidiano “Il giorno” con editoriali di grande spessore culturale. Prima o dopo lo andarono a cercare…Con tutta la stima che posso avere nei confronti di Renzi, mi sembra tutto un altro film.

Il partito democratico credo abbia abbondanti risorse culturali e umane a prescindere da Matteo Renzi: non si faccia quindi condizionare, svolga al meglio il suo congresso, metta in campo i suoi uomini migliori, si chiarisca le idee, si presenti alla gente in modo credibile e convincente. Men che meno si lasci coinvolgere nel referendum pro o contro l’alleanza con il M5S. In una parola, faccia politica, il resto si vedrà.