I grillini straparlanti

“La sentenza di assoluzione per Virginia Raggi spazza via due anni di fango”, così ha commentato a caldo Luigi Di Maio la sentenza che ha mandato assolta la sindaca di Roma dal reato di falso. Poi Di Maio e Di Battista hanno apostrofato i detestati giornalisti definendoli “infimi sciacalli, puttane, pennivendoli, cani da riporto di Mafia Capitale”. “Eh no, quando ce vo’ ce vo’”, ha esclamato Di Maio quando su La7 gli è stato chiesto se volesse fare retromarcia rispetto alle dichiarazioni rilasciate in precedenza. Rocco Casalino, portavoce del premier, a sua volta ritiene quasi educativi gli insulti ai giornalisti: “I toni eccessivi a volte servono; la libertà di stampa è giusta, ma c’è un accanimento contro di noi, il cane da guardia fa questo”. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, durante un’intervista su una rete Rai, ha dichiarato: “Non avrei usato quelle parole, ciascuno ha il suo stile, e non commento post di colleghi che esprimono il proprio pensiero; non mi scandalizzano quei termini, mi scandalizzano di più i due anni di massacro e fango sulla Raggi”.

“Al mattino leggo i giornali e i commenti che non condivido sono ancora più importanti di quelli che condivido, sono uno strumento su cui riflettere. Per questo la libertà di stampa è un grande valore”. Lo ha detto il Presidente Mattarella incontrando gli studenti.

“Sono fiero di essere giornalista e non accetto che si dica che i giornalisti siano delle prostitute, come hanno detto autorevoli rappresentanti del governo e del M5S”. Lo ha detto il presidente dell’Europarlamento Tajani, dopo gli attacchi di Di Maio e Di Battista alla stampa sul caso Raggi.

Interviene anche il presidente della Camera Fico: “La libertà di stampa va tutelata, ma manca una cultura dell’indipendenza”. Parla di “accuse infamanti” il presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Barachini: “Mi riservo di verificare se le parole del ministro Di Maio possano configurarsi come pressione indebita o censura preventiva”.

Ammettiamo pure che i giornalisti esagerino e usino la loro libertà per attaccare, in modo pressapochistico e unilaterale, i politici in odore di reato: è successo e succede. Nessuno è senza peccato, stampa compresa. Non vado oltre nel merito delle accuse lanciate contro i giornalisti, mi limito a chiedere: come mai questi signori pentastellati non si sono mai scagliati contro la stampa per trattamenti ben più pesanti riservati ad altri esponenti politici e rivelatisi infondati dopo le sentenze emesse in sede giudiziaria. Forse in quei casi tutto faceva brodo e sporcare gli altri serviva a far emergere il loro “pulito”. Adesso che gli schizzi di fango arrivano anche a loro, danno fastidio. Storia vecchia!

Il discorso più pregnante sta però nel vero e proprio scontro a livello istituzionale: da una parte importanti ministri ed esponenti di un partito di governo attaccano la categoria dei giornalisti con toni da censura, mettendo sostanzialmente in discussione la libertà di stampa, lasciando intendere misure ritorsive; dall’altra parte i rappresentanti delle massime istituzioni italiane ed europee che prendono nettamente, seppure educatamente, le distanze, ribadendo il valore della libertà di stampa a prescindere.  È roba di tutti i giorni! I casi sono due: o il governo sta andando oltre i limiti costituzionali e qualcuno dovrà prenderne atto, oppure il rispetto delle istituzioni e dei principi costituzionali è diventato un optional e i cittadini (tanto reattivi e intransigenti nel caso della riforma costituzionale proposta da Renzi) ne dovrebbero prendere atto. Apprezzo molto il comportamento del Presidente della Repubblica, ma mi chiedo e mi permetto di chiedergli: in una situazione del genere, c’è qualcosa di più che possa essere fatto. Non è il caso di abbandonare il galateo istituzionale per andare al sodo delle questioni e chiedere conto ufficialmente a un governo che straparla e strafa in continuazione?

Luigi Di Maio, durante le consultazioni per la formazione del governo post-elettorale, era arrivato a minacciare il Capo dello Stato lasciando intendere una sua messa in stato d’accusa per alto tradimento o per attentato alla Costituzione: roba da matti…che ci siamo dimenticati. Ora, siamo sicuri che non comincino ad esistere i presupposti per sottoporre a giudizio alcuni ministri per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni e che non si possa sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato? Non sarà il caso di ipotizzare un passaggio dalla moral suasion, vale a dire dalla pressione e persuasione morale, ad una vera e propria azione d’autorità nei confronti del governo o almeno di alcuni suoi esponenti? Fantasie pseudo-costituzionali? Può anche darsi, ma…