Democrazia a furor di popolo

In cosa consiste la democrazia? Sarebbe opportuno porsi questa domanda prima di sottovalutarla, snobbarla, bypassarla o rinnegarla. Stiamo vivendo un periodo in cui la democrazia è messa a dura prova dalla sua caricatura populista. Scrive Corrado Augias: «Il populista è colui che di fronte a dimostrazioni lampanti delle maggiori garanzie di equilibrio offerte in certi casi dalla democrazia delegata, continua a dire facciamo anche noi un referendum; se la costituzione non lo consente? Cambiamo la costituzione. Per fortuna si tratta solo di strepiti da comizio». Purtroppo il discorso non finisce lì e sta dilagando e rovinando coscienze e mentalità. La politica viene infatti impostata e trattata come un semplicistico e fuorviante “prendere o lasciare”. La deriva referendaria ha un suo appiglio nelle consultazioni vere e proprie di tale natura, ma è anche diventata un modo di approcciare i problemi riducendoli ai minimi termini di infantile e illusorio “sì o no”.

A Roma si è avuta una scarsa, scarsissima affluenza al referendum sull’azienda dei trasporti, un servizio da sempre disonore delle cronache per inefficienza, corse saltate e mezzi che vanno a fuoco. Si chiedeva ai romani di dire se erano d’accordo a liberalizzare il servizio attraverso gare pubbliche per far concorrere anche altri gestori oltre il monopolista ATAC e allargare il trasporto pubblico ad altre forme di trasporto collettivo. Ma i cittadini se ne sono sostanzialmente disinteressati o non hanno capito la portata ed il significato del quesito referendario. L’affluenza è stata lontanissima dal raggiungere il quorum del 33 per cento, anche se il referendum aveva soltanto un valore consultivo. Ha votato circa il 16% degli aventi diritto. A parte la scarsa informazione, la disorganizzazione ed il caos nei seggi, l’operazione, che voleva portare una ventata di democrazia nella travagliata città di Roma, è miseramente fallita. Il motivo? Non si può risolvere con uno sbrigativo “sì o no” il problema della pubblicizzazione-liberalizzazione dei servizi pubblici, un tema storicamente, culturalmente, economicamente e socialmente assai complesso.

A Torino si tende ad affrontare il problema Tav a furor di popolo, portando davanti ai cantieri o in piazza o sul web i favorevoli e i contrari tout court ad un’opera colossale, le cui motivazioni devono essere valutate ed approfondite in ben altre sedi, con ben altri metodi e con ben altre analisi ed argomentazioni. Non è giusto farne una materia di tardiva e piazzaiola diatriba, ideologizzando l’ambientalismo, radicalizzando il discorso finanziario, riducendo la questione anche a mera polemica pro o contro l’attuale sindaca Chiara Appendino.

Analogo discorso vale per la Tap, ridotta a buccia di banana per il M5S, reo di fare promesse impossibili e di rimangiarsele in fretta e furia. È inutile illudere i cittadini di contare mettendo in su o in giù il pollice. Anche la sondaggite acuta, che si scatena su partiti, governanti, problemi, questioni, tende a ridurre il tutto ad un superficiale giudizio che finisce con l’essere spesso un pregiudizio. La politica è conoscenza, è dibattito, è confronto, è mediazione. Il discorso, direttamente o indirettamente referendario, è l’eccezione alla regola della delega di rappresentanza e all’opzione della sostanziale partecipazione alla vita politica.

Non è un caso che lo strumento referendario sia stato e sia usato dai regimi autoritari e totalitari per approntare anestetizzanti e populistici bagni di falsa democrazia. Se andiamo avanti così, con un semplice clic informatico dichiareremo guerra ad un altro Stato, decideremo di fare un gasdotto o una ferrovia, di ospitare le olimpiadi, di costruire muri di blocco all’immigrazione, di sbattere fuori gli immigrati, di dotare chiunque di un’arma di difesa, di sfondare il bilancio dello Stato, di uscire dall’Unione europea, di tornare alla lira, etc. etc. E questa sarebbe democrazia diretta? No, questo è fascismo indiretto!