Dal “celodurismo” leghista al “viagra” pentastellato

Mentre il Presidente della Repubblica persevera nella sua meritoria moral suasion al fine di portare alla ragione il governo Conte e farlo scendere dalle assurde barricate frettolosamente e scriteriatamente innalzate nei confronti dell’Unione europea, i dati emergenti da certe indagini demoscopiche segnerebbero un netto calo di consenso nei confronti del M5S: le convincenti argomentazioni di Mattarella, invece di portare alla ragione il governo ed i partiti che lo compongono e sostengono, sembrerebbero (il condizionale è più che d’obbligo) ascoltate dalla gente, dagli elettori in vena di revisionare il consenso a distanza di qualche mese. Magari fosse così. Non ci credo!

Le motivazioni del calo di consenso ai grillini sono del tutto diverse ed assai poco promettenti: la subordinazione governativa alla Lega di Salvini, che infatti continua ad aumentare il proprio seguito; le contraddizioni programmatiche del movimento in balia delle onde ed in vena di rimangiarsi parecchie fondamentali promesse elettorali; i contrasti interni a livello di dirigenza, di rappresentanza parlamentare, di militanza movimentista e di adesione elettoralistica; le equivoche politiche pentastellata sui problemi fondamentali che stanno particolarmente a cuore alla gente.

La politica, a livello mondiale e nazionale, è ridotta ad una sorta di bar planetario con tanto di succursale italiana: in questo pubblico ed estemporaneo ritrovo chiunque può entrare e sparare cazzate a salve e può ricevere pernacchie, ma anche applausi, in un mix esplosivo funzionale a falsare la realtà, a illudere gli avventori più o meno coinvolti, a intronizzare chi la dice più grossa. In questo fantomatico bar della politica è a proprio agio la Lega salviniana, mentre il M5S appare come il bambino che per imitare il padre “scoreggione” finisce col farsela addosso.

I consensi improvvisati sulla base di promesse molto impegnative, possono improvvisamente essere perduti sulla base delle prime avvisaglie di inconcludenza e di titubanza. Se è vero che grossi, seppur localistici, serbatoi elettorali grillini erano fondati fanaticamente sulla ostilità alla Tap e alla Tav, nel momento in cui il governo pentastellato comincia a balbettare su questi punti nodali il fanatismo si sposta dal voto ultras al rogo delle schede elettorali. Se è vero che il consenso nel meridione è andato ai cinquestelle nell’attesa del cosiddetto reddito di cittadinanza, non appena questa possibilità comincia a scricchiolare, i possibili beneficiati sono presi dall’anticipata sindrome rancorosa. Allora, tutto sommato era meglio votare Salvini: almeno lui ha il coraggio di non mollare, di cantarle in musica a tutti, di interpretare fino in fondo il “celodurismo” di matrice leghista. I grillini ci provano, fanno ricorso ad un improbabile “viagra”, mostrando i loro attributi nei momenti e con gli interlocutori sbagliati (vedi l’assurdo attacco a Mario Draghi).

Ben venga questa possibile crisi identitaria purché non sfoci in un pedissequo rilancio dei propri connotati, utilizzando la chirurgia estetica dei Di Battista, la cosmesi dei Fico o addirittura il fregoliano travestimento in panni di seconda mano. Il M5S sta facendo la pessima imitazione del nostrano leghismo, non ha il retroterra culturale e storico per sposare le cause dell’ambientalismo tedesco, non ha la freddezza e la razionalità per ripiegare sul riformismo di sinistra, non ha le carte in regola per farsi trascinare dal vento pseudo-fascista, che imperversa in tutto il mondo, non è né carne né pesce. L’antipolitica regge fino a mezzogiorno, poi, quando l’appetito si fa sentire, torna in gioco la cucina della politica ed il rischio è che gli affamati cerchino di sfamarsi rivolgendosi al self-service zeppo di nostalgici e vomitevoli piatti riscaldati.