Da Metternich a Bismarck a…Trump

Donald Trump ha preso visione del rapporto finale della Cia sul caso Khashoggi, da cui emerge la (quasi) certezza che il principe saudita sia il mandante dell’omicidio, vale a dire colui che ha ordinato a una squadra della morte guidata dai suoi fedelissimi di andare ad Istanbul ad eliminare l’odiato giornalista, che sulle colonne del Washington Post continuava a infangare la sua immagine.

Ebbene, dopo aver tuonato ripetutamente contro questa schifosa operazione, oggi, giustificandosi col fatto che il principe ereditario “forse sapeva e forse no” e che “forse non sapremo mai veramente tutti i fatti”, ha ripiegato sulla più smaccata realpolitik: «Il regno dell’Arabia Saudita resta un grande alleato degli Stati Uniti. Il mantenimento dell’intesa è volto ad assicurare l’interesse del nostro Paese, di Israele e di tutti gli altri alleati nella regione».

Quindi l’interesse americano è al di sopra di ogni tentazione di alzare il tiro e non esiste la necessità di ulteriori misure punitive.  Khashoggi giace, Trump si dà pace e il principe Mohammed è salvo. Le indagini sono corredate da una montagna di informazioni e dal famigerato audio consegnato dalle autorità turche, quello che Trump sembra non abbia voluto nemmeno ascoltare per paura fosse troppo crudele. Di quell’audio sono uscite nuove indiscrezioni da un giornale turco, che spiega come si senta Jamal Khashoggi protestare appena entrato nel consolato saudita di Istanbul: “Cosa credete di fare”, urla mentre lo afferrano per un braccio e lo trasportano in una stanza appartata. Poi la voce dei suoi aguzzini che gli promettono di fargliela pagare prima di iniziare il massacro. Ma Trump non arretra e fa pubblicare dalla Casa Bianca una dichiarazione in cui ribadisce la piena lealtà degli Usa verso la monarchia di Riad, in nome del suo mantra ripreso in calce al comunicato: “America First”.

«L’Occidente non può combattere Daesh e, nello stesso tempo, stringere la mano a Riad. Il jihadismo cresce grazie alla propaganda voluta dai regnanti wahabiti». Così l’analisi di Kamel Daoud, scrittore algerino: «Daesh nero, Daesh bianco. Il primo taglia le gole, uccide, lapida, taglia le mani, distrugge il patrimonio dell’umanità e disprezza l’archeologia, le donne e i non musulmani. Il secondo è vestito meglio, ma fa le stesse cose. Lo Stato Islamico; l’Arabia Saudita. Nella sua lotta al terrorismo, l’Occidente fa la guerra con una mano e stringe le mani con l’altra. Questo è un meccanismo di negazione, che ha un prezzo: conservare la famosa alleanza strategica con l’Arabia saudita rischiando di dimenticare che anche il Regno degli Emirati poggia su un’alleanza con il clero che produce, legittima, diffonde, predica e difende il wahabismo, la forma ultra-puritana dell’Islam a cui Daesh si ispira. L’Arabia Saudita è un Daesh riuscito. Colpisce come l’Occidente lo neghi: saluta la teocrazia come suo alleato, ma fa finta di non notare che è il principale sponsor ideologico della cultura islamica».

Questo equivoco pazzesco, fondato sugli interessi economici petroliferi, non solo mette a repentaglio l’etica nei rapporti internazionali, ma rende persino schizofrenica la Realpolitik. La rozzezza culturale e politica di Trump evidenzia ancor più queste contraddizioni, esistenti da tempo immemorabile nella politica occidentale. Di fronte a tali luridi equilibri, davanti alla vita umana retrocessa a mera pedina sulla scacchiera internazionale, c’è da rimanere soffocati e sconvolti. Le reazioni sono due: o si prende atto e ci si adegua adottando, anche a livello individuale, questi parametri di opzione politica (è quanto molti nel mondo stanno facendo appiattendosi sul consenso e sul voto a personaggi totalmente disancorati dai valori) oppure si cerca di combattere contro i mulini a vento, di contrastare e combattere a mani nude la violenza (il)legittima che ci opprime. Forse non ci rendiamo conto che mai come oggi il mondo è a un bivio e siamo tentati di stare a guardare: non è possibile, bisogna scegliere, costi quel che costi, tra i valori fondamentali dell’uomo e le convenienze dell’egoismo individuale e collettivo.