Un movimento TAP…ino

Le balle stanno in poco posto, così recita un vecchio, ma sempre attuale, adagio. La Tap (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che sbocca in Puglia e serve a portare in Europa il gas estratto in Arzebaigian dai giacimenti sotto il fondo del mar Caspio, potrebbe essere ridefinita DIG (Diaspora Inutile Grillina). La storia è piena di promesse elettorali non mantenute: il M5S è maestro in questa specialità, che costituisce un fondamento del suo populismo da tre soldi. Ha promesso, soprattutto nelle zone interessate ed allarmate dai lavori imponenti di questa opera infrastrutturale, che la Tap sarebbe andata nel ripostiglio delle cattedrali nel deserto, nell’archivio delle abortite cattive intenzioni. A distanza di alcuni mesi, dopo che sono stati incassati i voti anche sulla base di questa promessa, salta improvvisamente fuori il problema di una penale enorme da pagare in caso di interruzione dei lavori.

Diamo per assodato (?) questo rischio, che l’ex ministro Calenda nega con fermezza e che all’interno dello stesso Movimento grillino sta creando un certo subbuglio. Ammesso e non concesso che la scusa sia contrattualmente certa, resta comunque la superficialità, al limite della dabbenaggine, con cui è stata fatta una promessa elettorale di primaria importanza. La scusa viene così portata ad opera di Luigi Di Maio: «Da ministro dello Sviluppo economico ho studiato le carte della Tap per tre mesi e vi posso assicurare che non è semplice dover dire che ci sono delle penali per quasi 20 miliardi di euro. Ma così è, altrimenti avremmo agito diversamente. Sulla realizzazione della Tap non ci sono alternative».

A chi gli chiede se non era il caso di studiare preventivamente il problema prima di lanciarsi in promesse così rilevanti e impegnative, Di Maio risponde con un’ulteriore risibile scusa: «Al M5S non hanno mai fatto leggere alcunché. Quelli che erano andati a braccetto con le peggiori lobby del Paese non ci hanno mai detto che c’erano penali da pagare». Può anche essere…ma resta la clamorosa ingenuità (?) di giocarsi sul piano politico una carta simile, di cui non si conoscono bene tutti i risvolti. Della serie: noi siamo contrari, poi si vedrà. Parecchi hanno abboccato all’amo grillino ed ora restano con un palmo di naso a strappare la scheda elettorale, a chiedere le dimissioni dei parlamentari eletti nella zona, a pretendere chiarimenti, a protestare in piazza, ad esprimere amara delusione per il comportamento fatalistico di Conte e Di Maio.

Una triste sceneggiata, destinata a ripetersi con la Tav. Il tutto aveva avuto – alcuni anni or sono, agli albori del grillismo nelle stanze dei bottoni – un prologo inquietante nel voto strappato ai cittadini di Parma sull’onda del “no” all’inceneritore dei rifiuti: opera rivelatasi irreversibile e addirittura in odore di potenziamento ulteriore. Possiamo dire che le fortune dei grillini cominciarono a Parma proprio su una promessa da marinaio e continuano su questa strada. I parmigiani hanno avuto la memoria corta e hanno confermato la loro fiducia al sindaco Pizzarotti, nonostante la marcia indietro sul forno inceneritore. Alla memoria corta dei governanti fa riscontro quella altrettanto corta degli elettori. L’eco mediatica delle promesse elettorali (Berlusconi docet) dura circa sei mesi, nel bene del mantenimento e nel male del tradimento: trionfa il dimenticatoio. Sarà così anche per la TAP: dopo l’inevitabile incazzatura del momento, dopo un po’ di polvere, Di Maio e c. ritorneranno sull’altare del cambiamento.