Le figurine-figuracce dei ministri tecnici

Il governo Conte ha nel proprio interno esponenti con sensibilità, idee, provenienze, storie molto diverse, che fanno parecchia fatica a compattarsi. Tra le anomalie più eclatanti vi è quella della presenza di Enzo Moavero Milanesi, un giurista di grande valore, quale ministro degli affari esteri. Da sempre molto vicino a Mario Monti, è stato nominato ministro per le politiche europee nel suo governo il 16 novembre del 2011. Le cronache raccontano che arrivato nel suo ufficio abbia rifiutato una scrivania presumibilmente appartenuta a Benito Mussolini: «Sono antifascista, non la voglio». Il 27 aprile 2013 resta ministro con le stesse funzioni nel governo guidato da Enrico Letta. Nell’aprile 2017 viene nominato dal Presidente Gentiloni Consigliere del Premier per la promozione e dislocazione a Milano della sede dell’Ema, già situata a Londra, poi invece affidata ad Amsterdam.

Non riesco a capire, e non sono il solo, come un personaggio del genere abbia accettato di entrare nel governo Conte con un incarico così importante, ma così destinato ad entrare in rotta di collisione con altri ministri e con gli indirizzi politici del governo giallo-verde. Bisogna proprio ammettere che la politica eserciti un fascino particolare anche verso uomini di cultura e di scienza, i quali troverebbero terreno fertile rimanendo nel loro seminato. Queste sono però scelte lasciate alla mentalità ed alle aspirazioni degli interessati. Sono sempre stato del parere che sarebbe molto meglio se tutti facessero il loro mestiere senza “sgolosare” quello altrui, tuttavia il prestito di un giurista di livello dal mondo dell’università al governo della Repubblica non sarebbe un fatto di per sé negativo, anzi.

Quel che non comprendo è come Moavero riesca a far quadrare il cerchio delle sue convinzioni politiche e scientifiche con le linee del governo Conte in materia di rapporti con l’Europa e a livello internazionale. Su questi punti l’attuale compagine governativa parla, a dir poco, cinque lingue: quella opportunistica grillina, quella barricadiera leghista, quella insipida, titubante ed altalenante di Giuseppe Conte, quella scettica e provocatoria di Paolo Savona e quella compromissoria (da pesce in barile) di Giovanni Tria. Un’autentica Babele governativa! Quale prestigio aggiunge al curriculum moaveriano una simile esperienza? Se ben ricordo, Enzo Moavero si era candidato al Parlamento nelle liste di Scelta civica di cui era leader Mario Monti: non fu eletto, ma fece una scelta politica che non ha nulla a che vedere con la linea dell’attuale governo. Non è un politico in cerca di seggiola su cui rimanere a tutti i costi. Tantomeno lo considero un venduto al migliore offerente. Resta quindi un mistero la presenza di questo illustre giurista in mezzo al confuso e confusionario parterre pentaleghista. L’unica risposta fantapolitica al mistero potrebbe essere quella di tenere all’interno del governo una sorta di paravento verso l’Europa, di avere una quinta colonnina europea in mezzo alla bagarre, di mostrare uno specchietto razionale ed istituzionale alle allodole mercatali, di mantenere un tenue filo di dialogo tra il sistema e gli anti-sistema. Mi sembra francamente poco o niente: un ombrellino nel diluvio.

Sotto sotto nutro una speranza: questi tecnici prestati all’improvvisato governo legastellato prima o poi dovranno pure fare i conti con la propria dignità e coerenza. Le loro contraddizioni finiranno per minare irrimediabilmente la credibilità e solidità del governo? Saranno prima o poi la spina nel fianco che toglierà il respiro a Salvini e Di Maio? Il discorso vale per Moavero, ma anche per Tria. Riusciranno a barcamenarsi ed a continuare a svolgere un ruolo di mera copertura?  Durante il dibattito in vista della formulazione del Documento di Economia e Finanza si è vociferato di mezze dimissioni messe sul tavolo da Tria dopo la sbracata virata deficitaria a livello di bilancio statale: non vorrei essere nei suoi panni quando si presenterà in sede Ue e lo guarderanno come un ministro depotenziato, che a Bruxelles recita una parte, mentre a Roma ne sostiene un’altra. Parlare di imbarazzo mi sembra poco. E Moavero, quando si misura con l’antieuropeismo strisciante del governo Conte e magari si trova in netto contrasto col collega Savona? La politica è l’arte del compromesso: d’accordo. Ma non della presa in giro!