Il demoniaco riciclaggio dei rifiuti

Sono consapevole di andare contro corrente (è il mio destino culturale), ma la mia lettura del fatto della ragazza vittima a Roma di un episodio sconvolgente, si allontana dalla sbrigativa criminalizzazione generalizzata degli immigrati clandestini per andare molto più a fondo e in largo. La drammatica vicenda di questa giovane, Desirée (un nome che significa “desiderata” nella traduzione italiana: un paradosso vista la sua prematura e tragica fine), è l’estrema sintesi dei mali della nostra epoca. C’è dentro un po’ di tutto: una pattumiera in cui essa è stata gettata e soffocata.

C’è il sesso ridotto a mero consumo di un corpo reso inerme  e inerte; c’è la droga promossa a stile di vita, a modo di essere e di (non) vivere; c’è la donna non solo considerata come oggetto, ma quale giocattolo con cui divertirsi, ma sfasciandolo prima e dopo l’uso con sadica indifferenza; c’è la logica del branco che diventa il grande dittatore del singolo; c’è la ricerca ossessiva ed autoreferenziale della rivalsa sul debole e il riscatto delinquenziale del debole che si fa forte nel delitto su un altro debole; c’è l’omertà sociale di chi vede, tace e si limita ad imprecare; c’è la vigliaccheria personale di chi si gira dall’altra parte o si rassegna a (non) fare i conti con la violenza; c’è la rivoluzione di chi scarica tutte le colpe sulla politica (ne ha tante, ma non tutte); c’è la reazione di chi si illude di risolvere col pugno di ferro verso tutto e tutti.

In questi giorni papa Francesco ha invitato i cristiani ad invocare la Vergine Maria e san Michele arcangelo perché ci siano di aiuto nella battaglia contro il demonio. Non sono un cristiano facilmente portato ad enfatizzare la lotta contro il male, bensì piuttosto propenso a puntare al bene quale migliore antidoto.   Davanti a questi fatti così emblematicamente demoniaci, resto però piuttosto sconcertato. Non mi rifugio nella psicologia e nella sociologia da salotto, non mi lascio ingannare dal perbenismo scandalizzato e tranciante, non credo alle soluzioni facili e immediate.  Torno a considerazioni già fatte e scritte.

L’elemento che rende più umanamente inspiegabile questi comportamenti delittuosi, non è tanto la crudeltà (un dato presente in molte vicende umane personali e collettive), non è tanto la futilità dei motivi scatenanti, né la giovane età dei protagonisti, ma l’ostentata indifferenza del dopo-delitto, che si accompagna alla mancanza di rimorso e di ravvedimento. È vero che nella coscienza di un individuo non si riesce a leggere, ma tutto lascia pensare alla mancanza di coscienza (qualcuno dice mancanza del senso di colpa). Se un uomo è senza coscienza, non è una bestia perché gli rimane l’intelligenza, è un demonio. È questo che mi induce a considerare demoniaci questi comportamenti, non in senso figurato ma in senso proprio.

La psicologia, la sociologia, la scienza medica possono trovare per questi episodi tante motivazioni sociali, familiari, ambientali, educative: le conosco, le rispetto, ma non mi convincono. Queste analisi possono servire a responsabilizzare tutti coloro che operano a contatto con i giovani e con le realtà sociali più degradate. Rimane comunque un comportamento che temo possa essere riconducibile direttamente al demonio, se la vogliamo dire in senso laico, al gusto di fare il male per il male.

Racconta Vittorino Andreoli, il noto esperto e studioso di psichiatria criminale, di avere avuto un importante e toccante incontro con papa Paolo VI, durante il quale avranno sicuramente parlato non di meteorologia, ma di rapporto tra scienza e religione nel campo della psichiatria e dello studio dei comportamenti delinquenziali. Al termine del colloquio il pontefice lo accompagnò gentilmente all’uscita, gli strinse calorosamente la mano e gli disse, con quel tono a metà tra il deciso e il delicato, tipico di questo incommensurabile papa: «Si ricordi comunque, professore, che il demonio esiste!».