Orban val bene un voto anti-europeo

Ero ancora bambino quando, nel 1956, i carri armati sovietici invasero l’Ungheria e soffocarono il processo di democratizzazione, intrapreso da quel Paese, appartenente all’area comunista dell’Est-europeo. Ricordo il clamore, che il fatto suscitò in chiave anticomunista forse più che in senso solidalmente democratico, e il colpevole imbarazzo dei comunisti nostrani, completamente spiazzati da un’iniziativa da cui non seppero prendere le dovute distanze.

Sono passati oltre sessant’anni e l’Ungheria, dopo essersi affrancata dal giogo comunista ed essere entrata nell’Unione europea, viene messa sul banco degli imputati per aver violato lo stato di diritto, vale a dire per essere ricaduta, seppure in forme e modalità diverse, nel solito “vizietto” autoritario. Esisterebbe infatti un chiaro rischio di violazione grave dei valori su cui si fonda l’Ue: ha imbavagliato i media indipendenti, ha limitato il settore accademico, ha sostituito i giudici indipendenti con giudici più vicini al regime, ha reso la vita difficile alle Ong. Permangono cioè seri dubbi sul funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, sull’indipendenza della giustizia, sulla corruzione e i conflitti di interesse, sul rispetto di varie libertà individuali come il diritto dei richiedenti asilo.

Ebbene, a parte l’errore commesso a livello Ue di far entrare nella comunità cani e porci, senza preventivamente verificare l’adeguatezza dei loro sistemi democratici e guardando solo agli ipotetici vantaggi economici di un allargamento indiscriminato dell’area, a parte la scarsa attenzione e la poca coerenza nel sorvegliare i comportamenti degli Stati-membro, lasciando prevalere la realpolitik sul rigoroso rispetto dei valori europei, a parte tutto ciò, finalmente il Parlamento europeo prende in seria considerazione  censure e sanzioni per il comportamento di uno Stato, che a casa propria ne sta combinando di tutti i colori.

I partiti politici, come ai tempi dell’invasione sovietica, oscillano, in modo che definirei macabro, tra la netta condanna purtroppo enfatizzata da contingenti tatticismi (non par vero a Urban ridurre tutto al discorso immigrazione) e l’omertosa e conveniente sopportazione motivata da rigurgiti nazionalisti e dal generico scetticismo anti-europeo. In questo insulso balletto si distinguono alcuni partiti italiani, imprigionati nelle loro convenienze di brevissimo respiro. La Lega, come i comunisti nel 1956, non vuole rompere il feeling istituito con i Paesi sovranisti e i partiti populisti (recentemente consacrato da uno sciagurato incontro al vertice tra Salvini e lo stesso Orban): ecco forse paradossalmente un ulteriore motivo per cui molti elettori comunisti hanno scelto Salvini per la loro continuità anti-democratica. Forza Italia, con una telefonata cordiale in cui Berlusconi ha confermato la sua amicizia a Orban e al suo partito Fidesz (ogni simile ama il suo simile), dando una frettolosa riverniciata al suo anacronistico anticomunismo viscerale (quel che viene dopo il comunismo va sempre bene), ritenendo pericoloso rompere ulteriormente i ponti con la Lega, posizionandosi in modo critico all’interno del Partito Popolare Europeo (più bello e più diviso che mai), salvandosi un minimo di spazio collaborativo con il crescente movimento populista e sovranista (senza il quale il centro-destra   non riesce a fare maggioranza e a governare), voterà a favore di Orban e contro le sanzioni. Il M5S ha deciso invece di votare a favore delle sanzioni all’Ungheria, prendendo finalmente posizione, rinunciando in questo caso alla tattica del pesce in barile e superando una sorta di viscerale anche se camuffato antieuropeismo.

Al di là di un ulteriore episodio di frattura tra leghisti e grillini (non si riesce più a capire cosa rimanga del patto governativo italiano, se non la conveniente mungitura della vacca elettorale) e di una ritrovata unità al ribasso tra Salvini e Berlusconi (prove di riconciliazione sulla bara del cadavere europeo), emerge una incapacità di occupare gli scranni europei senza farsi condizionare da confusionarie visioni casalinghe. Il Partito Popolare Europeo ne è la dimostrazione clamorosa: tiene insieme capre e cavoli in un assurdo gruppo che sta affossando l’Europa.   Le forze di centro-sinistra, il partito socialista e i verdi, dimostrano una maggiore coerenza ed una certa affidabilità in chiave democratica ed europeistica. Sarà questa la partita elettorale del prossimo maggio, indipendentemente dall’esito del pur emblematico dibattito sulle sanzioni all’Ungheria di Orban.