Dall’altare del populismo alla polvere del popolo

Gesù entrò trionfalmente in Gerusalemme, acclamato con gli “Osanna al Figlio di Davide”, riconosciuto a furor di popolo come redentore e messia. Dopo alcuni giorni venne messo in croce, con il popolo che assistette imperterrito alla farsa della sua incriminazione da parte dei maggiorenti israeliani e gli preferì addirittura un Barabba qualsiasi. Le plebi sono pericolosamente volubili e imprevedibili: ecco perché chi vaneggia alla ricerca di un facile populismo anti-istituzionale fa un pessimo servizio alla vera democrazia.

Sono passati pochi giorni dalla celebrazione solenne dei funerali delle vittime del crollo del ponte Morandi a Genova. Quel giorno venne concessa una accoglienza molto benigna ai rappresentanti del governo e ai leader della maggioranza giallo-verde. Già il mescolare le esequie con le simpatie politiche non è il massimo della serietà. Agli imponenti funerali di Enrico Berlinguer venne riservata una certa ostilità a Bettino Craxi, al quale fu poi chiesto un commento: «Nei funerali politici c’è spazio anche per la contestazione politica».

Tutto si può capire: nei momenti di disperazione è umano attaccarsi a quel che c’è a portata di mano e in questa fase storica la politica offre purtroppo la botte che ha. Non appena si assaggia il vino, ci si rende conto che la botte conta poco. Ebbene siamo già arrivati alla contestazione, inscenata dai senza tetto contro Regione e Comune per i ritardi nella assegnazione degli alloggi. Luigi Di Maio ha sentito puzza di bruciato e si è precipitato a cavalcare la protesta: «Hanno ragione, diamoci una mossa!». Gli ha risposto il presidente ligure Toti: «Meno parole e più fatti!». È scoppiata, prima che si potesse immaginare, la querelle fra gli Enti Locali che aspettano i fondi per intervenire e lo Stato che lamenta una certa debolezza del potere a livello periferico.

Non mi scandalizzo di niente. Non mi stupisce la fretta della gente: al loro posto probabilmente sarei ancora più ansioso e pretenzioso. Non mi impressiona l’incertezza della politica locale a muovere i primi passi in una situazione complicatissima e delicatissima. Capisco la difficoltà del governo ad intervenire tempestivamente con i giusti provvedimenti senza farsi imprigionare nelle solite pastoie burocratiche. Qualcosa però mi infastidisce: la faciloneria e la supponenza con cui gli attuali governanti si presentano e la dabbenaggine con cui la gente li segue. Non sopporto questa aria da primi della classe sciorinata da Lega e M5S. I primi della classe sono sempre antipatici, figuriamoci se li sono soltanto di facciata.

Consentitemi di riportare una piccola esternazione paterna, davanti al video, vale a dire a commento di una delle solite vuote interviste propinate ai fanatici del pallone. Parla il nuovo allenatore di una squadra, non ricordo e non ha importanza quale, che ottiene subito una vittoria ribaltando i risultati fin lì raggiunti. L’intervistatore chiede il segreto di questo repentino e positivo cambiamento e l’allenatore risponde: “Sa, negli spogliatoi ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che dovevamo vincere”. Non ci voleva altro per scatenare la furia ironica di mio padre, che, scoppiando a ridere, soggiunse: “A s’ capìssa, l’alenadór äd prìmma, inveci, ai zugadór al ghe dzäva äd perdor”.  Tutto chiaro? Mi sembra proprio di sì. I trainer padre eterni sono inutili ed insulsi, come i politici “faso tuto mi”.