Molta vergogna e poca dignità

Sono rimasto letteralmente basito seguendo il dibattito parlamentare sul cosiddetto decreto dignità, che doveva essere il primo intervento governativo a gamba tesa sulle problematiche del lavoro. Questo provvedimento legislativo mostra tutte le sue contraddizioni di merito: l’esagerata esorcizzazione dei contratti a termine a favore del lavoro in affitto nel momento congiunturale più sfavorevole e sbagliato che potesse esistere; la quasi certezza di cancellare nel tempo posti di lavoro scoraggiando la flessibilità e penalizzando il lavoro tout court; la confusione nell’utilizzo dei voucher. Inoltre mette il dito nella piaga politica, registrando una clamorosa retromarcia grillina rispetto a quanto figurava nel programma del M5S e su cui i pentastellati avevano battuto molto: il ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori con il relativo obbligo di riassunzione del lavoratore licenziato ingiustamente.

Ebbene, l’emendamento che prevedeva ciò, presentato da LeU (Liberi e Uguali), è stato bocciato dall’Aula della Camera con 13 voti favorevoli, 317 voti contrari e 191 astenuti, con tanto di impietosi applausi di scherno indirizzati ai deputati pentastellati, i quali in parole povere hanno votato contro il proprio programma in nome di una realpolitik tale da fare invidia ai più smagati politicanti. Se questa è la cifra innovativa del governo e della sua maggioranza…

Se tanto mi dà tanto, succederà più o meno la stessa cosa in materia di riforma pensionistica e temo che le bolle di sapone si moltiplichino ed esplodano in breve tempo. Qualcuno penserà sicuramente che io sia troppo intransigente nei confronti di questo nuovo governo: la mia intransigenza è innanzitutto direttamente proporzionale a quella con cui i protagonisti si sono comportati nel passato, quando erano minoranza; in secondo luogo non sopporto chi me la vuol dare ad intendere; in terzo luogo l’incoerenza in politica l’ho sempre ritenuta il peggiore dei mali, perché ne annulla i presupposti democratici, ne falsa le regole, ne scombina i tempi e i modi.

Non si tratta solo di dilettantismo, di impreparazione, di inesperienza, ma soprattutto di ingannevole proposta politica clamorosamente sbandierata in campagna elettorale e frettolosamente smentita alla prima prova dei fatti. Tutto ciò rischia di essere coperto dall’omertoso vortice mediatico in cui viviamo. Non so al momento come finirà la nomina del nuovo presidente Rai: lo stop a Marcello Foa, chiaro e lampante tassello nel mosaico casaleggiano, è solo un piccolo break imposto alla strategia grillina. E fa decisamente sorridere il gridare al rifiuto del nuovo che avanza: ma quale nuovo? Io vedo solo vecchi trucchi per coprire le magagne di chi non sa e non vuole fare politica, ma solo demagogia. Più che “dignità” il decreto in materia di lavoro, sfornato dai giallo-verdi, mi sembra un decreto “vergogna”.