Al bonètt ‘d Salvini

Era molto simpatica ed “anarchica” la battuta con cui mio padre fucilava il delirio di onnipotenza dall’alto al basso e dal basso all’alto: “A un òmm, anca al pu bräv dal mónd, a t’ ghe mètt in testa un bonètt al dventa un stuppid”. Questo il miglior incipit per rivisitare e collocare la sicumera ostentata a più non posso da Matteo Salvini nell’aneddotica personale e familiare.

Siamo a livello di una sparata al giorno che leva il buonsenso di torno. Il presidente della Camera, Roberto Fico, ha osato esprimere il proprio parere riguardo al trattamento degli immigrati da giorni bloccati sulla nave costiera Diciotti: sarebbe il caso di farli scendere e soccorrerli, poi si potrà aprire la trattativa con la UE su chi e come debba accoglierli. Non ci voleva una mente eccelsa per arrivare a tanto, ma in questo momento il più logico e normale dei ragionamenti dà fastidio. Salvini, fautore della linea dura ante litteram, ha liquidato il presidente della Camera, incollandolo al muro come una pelle di Fico, vale a dire consigliandogli bellamente di fare il suo mestiere e di non disturbare il ministro competente e il governo. Penso che l’obiettivo in realtà fosse molto più alto in grado: ha parlato a nuora perché suocera intenda, si è cioè rivolto seccamente a Fico per avvertire il presidente della Repubblica, se mai avesse intenzione di “intromettersi” e financo il premier Conte, se volesse ripetere il bel gesto fatto in altra clamorosa occasione.

Secondo la distorta mentalità salviniana nel quadro politico-istituzionale esiste lui e il popolo bue, che lo sta ad ascoltare ed ammirare. Umberto Bossi un tempo voleva pulirsi il sedere con il tricolore, ora, di bene in meglio, Salvini se lo vuol pulire con la Carta Costituzionale, che tuttavia potrebbe risultare piuttosto ruvida per il suo stizzoso deretano. Tirare la corda può essere assai pericoloso. Mio padre si lasciava andare a sintetizzare la parabola storica di Benito Mussolini, usando questa colorita immagine: «L’ à pisè cóntra vént…». L’attuale ministro degli Interni non è lontano da questa tragicomica prospettiva.

L’auto-incensazione e il culto della personalità sono atteggiamenti tipici del politico vocato alla dittatura: nel caso di Salvini si tratterebbe di un piccolo dittatore, di un dittatorello da strapazzo, non per questo meno pericoloso. Ogni volta che lo ascolto, l’attenzione mediatica infatti non gli manca di certo, vedo in lui una sorta di parodia del più vuoto e bieco decisionismo politico ed il pensare che i miei connazionali siano infatuati di un simile personaggio francamente mi deprime. E questo signore sputa sentenze a destra e manca, si permette di insolentire le massime cariche dello Stato: chi non è con lui è contro di lui. L’Europa è la sua sputacchiera, l’Italia l’orto in cui coltivare le verze da “sbragare”, il Parlamento un inciampo costituzionale, il Capo dello Stato l’unico e vero ostacolo al suo rapporto con il popolo.

Come ho già avuto modo di ricordare (repetita iuvant), da ragazzo organizzai una squadretta di quartiere per partecipare ad un torneo calcistico parrocchiale: una frettolosa ed assurda compagine. Fummo i primi ad entrare in campo, inaugurando il torneo. Quando fu il momento di scegliere il capitano, mi candidai presuntuosamente (come giocatore facevo letteralmente ridere, ma la squadretta l’avevo costruita io e quindi nessuno ebbe il coraggio di contestare la mia leadership). Fu un disastro: dopo un breve vantaggio, prendemmo una botta di goal da non credere. La squadra si era fatta compatire e io, come capitano, ero diventato lo zimbello del quartiere. Mi ci volle del tempo a recuperare un minimo di dignità.