I matti delle giuncaie razziste

A distanza di pochi giorni uno dall’altro, si sono verificati due episodi di sangue paradossalmente gravi ed inquietanti. Due tizi sparano dal balcone di casa, rispettivamente a Roma e nel vicentino: uno colpisce una bambina rom (rischia di rimanere paralizzata) e l’altro un operaio immigrato (ferito gravemente). Entrambi si giustificano in modo piuttosto incredibile: uno voleva provare l’arma e l’altro voleva sparare ad un piccione.

Devo, come spesso mi succede, ricorrere all’arguta ironia di mio padre, il quale non credeva alle assurde giustificazioni riconducibili alla follia di un momento: “J én miga mat, parchè primma äd där ‘na cortläda i guärdon se ‘l cortél al taja.  Sät chi è mat? Col che l’ätor di l’à magnè dez scatli äd lustor. Col l’é mat!”.

Sono perfettamente d’accordo col Presidente della Repubblica quando ha affermato: «L’Italia non può somigliare a un Far West dove un tale compra un fucile e spara dal balcone ferendo una bambina di un anno, rovinandone la salute e il futuro. Questa è barbarie e deve suscitare indignazione». Le dichiarazioni di Mattarella oltre tutto sono state rese prima del secondo episodio di cui sopra e quindi sono ancor più azzeccate e pertinenti.

I casi sono due. Se reggono le attenuanti dei protagonisti, bisogna riflettere seriamente sulla disponibilità di armi nelle mani di persone squilibrate ed esibizioniste. Se le giustificazioni non reggono, allora siamo in presenza di comportamenti criminali belli e buoni, assolutamente inspiegabili e proprio per questo ancor più gravi.

Ma c’è un altro aspetto da valutare molto seriamente. Il caso (?) vuole che vittime di questi due fatti siano persone di razza diversa dalla nostra: una bimba rom ed un uomo di origine capoverdiana. Pura coincidenza di tempi e di modi? Mi permetto di pensare male. Se siamo in presenza di episodi con cui viene sfogato un rigurgito di razzismo, coltivato socialmente e strumentalizzato politicamente, bisogna effettivamente e doppiamente indignarsi. Se devo essere sincero, l’indignazione, al di là delle sacrosante parole del capo dello Stato, non l’ho colta più di tanto a livello mediatico e di pubblica opinione. Pensiamo per un attimo e per assurdo se questi fatti fossero avvenuti per comportamento di un rom e di un immigrato ai danni di una bambina e di un lavoratore italiani. Ci sarebbe stato un coro di condanne e di criminalizzazione degli stranieri, che vengono a delinquere indisturbati sul nostro territorio.

Usare due pesi e due misure nel giudicare le persone ed i fatti è l’anticamera del razzismo.  Quando si sostiene da autorevoli pulpiti politico-governativi che la misura è colma, che non se ne può più, si finisce, magari involontariamente, con l’incoraggiare comportamenti illegali, che trovano tuttavia una sorta di preventiva giustificazione. Fu così nel lontano luglio 2001 quando la polizia massacrò nelle caserme genovesi i no-global manifestanti contro il G8: vice-presidente del consiglio era Gianfranco Fini, un post-fascista, che poteva rappresentare, politicamente parlando, la garanzia di impunità per certe operazioni repressive. Mi guarderei bene dal pensare che Fini avesse autorizzato queste spedizioni punitive, ma il clima politico era di un certo tipo e certa gente lo coglie e si comporta di conseguenza. Non mi permetto di dubitare dell’attuale ministro Salvini e della sua distanza dalle teorie razziste, ma il vice-presidente del consiglio (guarda la coincidenza) continua incautamente a fomentare un’ansia di ordine, che può irrazionalmente e fanaticamente sfociare nel farsi (in)giustizia da sé e contro persone innocenti.  Vogliamo tornare alla ragione e darci tutti una calmata?