Con Trump nel taschino di Putin

Sono rimasto scioccato e turbato dal vertice di Helsinki fra Trump e Putin. Da tempo si è capito il gioco allo sfascio portato avanti dal presidente americano nei confronti dell’Unione europea, all’interno della Nato, nei rapporti col mondo arabo, nel tendere al massimo i conflitti per poi giganteggiare nel rimettere a posto i cocci, nello scombussolare i rapporti economici per lucrare i vantaggi del “più forte”. L’incontro con il leader russo ha coronato la serie di strizzate d’occhio in corso da tempo fra questi due squallidi personaggi: si sono scoperti alleati nella peggior realpolitik possibile ed immaginabile.

Il mio turbamento non è dovuto a questi sviluppi internazionali, peraltro piuttosto prevedibili anche se assai preoccupanti, ma alle reazioni che il vertice ha creato negli Usa, dove si sono alzate voci a dir poco sdegnosamente dissenzienti rispetto alla politica trumpiana. L’ex capo della Cia Brennan ha commentato: «Quanto ha detto Trump a Helsinki supera di gran lunga crimini e misfatti: non è stato nulla di meno di un tradimento. Trump si è schierato con il leader russo Putin, negando le interferenze sulle elezioni americane». «Imbecilli i commenti di Trump. Putin lo tiene in tasca. Repubblicani patrioti dove siete?» ha rincarato Brennan. Parole inquietanti e di una gravità eccezionale.

Il presidente della Camera Ryan ha così dichiarato: «Trump si renda conto che la Russia non è un alleato, ma è ostile ai nostri ideali e valori». L’ex capo Fbi Comey ha lanciato un appello: «I Patrioti d’America fermino Trump, si è messo a fianco di un delinquente bugiardo assassino». Di tenore simile altre reazioni politiche americane provenienti dai democratici, ma anche dai repubblicani. Penso che cose di questo genere non si siano mai verificate nella storia statunitense e mondiale. Un ex capo della Cia che dice apertamente come Trump sia intimidito da Putin e come gli Usa siano in pericolo è un fatto semplicemente pazzesco (purtroppo non una cagata di fantozziana memoria) .

L’indomani dell’elezione di Donald Trump, peraltro avvenuta grazie ad un paradossale sistema elettorale, che lo ha portato alla Casa Bianca nonostante avesse ottenuto oltre un milione di consensi in meno rispetto alla sua competitor Hillary Clinton, alcuni amici mi confessavano il loro disinteressato distacco rispetto a questo avvenimento: si arrangeranno gli Americani… Nossignori, ci arrangiamo tutti e il bello deve ancora venire.

Nella recente visita effettuata in Inghilterra il presidente americano non si è fatto scrupolo di schierarsi apertamente a favore della linea più dura ed intransigente di attuazione della Brexit: come europei abbiamo un partner che fa il tifo contro di noi, come membri della Nato abbiamo un alleato che strizza l’occhio al nemico, come occidentali abbiamo il capo della maggiore potenza che butta all’aria secoli di storia democratica per un piatto di lenticchie da consumare in patria.

Aveva proprio ragione quando diceva “e non finirà qui” gongolando dalle dune della Scozia, dove ha aspettato giocando a golf l’esito del referendum britannico, assaporando l’euro-harakiri britannico come l’auspicio del proprio possibile trionfo in America dopo sei mesi. Ed è stato un facile auto-profeta. Sta continuando a tendere trappole mortali all’Europa. Alle sciocche dichiarazioni trumpiane dell’immediato dopo-Brexit ci fu la “gustosa” reazione di base degli scozzesi, i quali non sopportarono le parole demagogiche e le strumentalizzazioni di Trump.  Nel pub di John Muir a Edimburgo, quando Trump è apparso in tv, tutti i clienti si sono avvicinati allo schermo. Poi, tutti assieme, hanno cominciato a urlargli insulti di ogni genere, il cui meno offensivo era senz’altro “pig”, porco. Gli scozzesi hanno visto giusto!