Invertendo l’ordine degli equivoci la politica non cambia

Il governo Conte (alias Salvini-Di Maio) nasce in mezzo agli equivoci e non poteva essere diversamente. Segna l’alleanza (?) fra due partiti disomogenei in quasi tutto meno che nel voler cavalcare la piazza. Non è né di destra né di sinistra, ma in realtà è dominato a livello di leadership e in senso politico dalla Lega, che lo connota inequivocabilmente a destra. È un governo di lotta e di protesta, ma è zeppo di doppiopettisti, che ne sfumano alquanto i toni barricadieri. Dovrebbe essere un governo politico, ma è infarcito di tecnici, a partire da chi lo presiede. Si presenta come un governo di “contratto”, il che lascerebbe pensare ad un programma preciso e stringato, mentre invece si basa su un autentico libro dei sogni e come tutti i sogni ha quindi una tessitura confusa, inconcludente e fuorviante.  Si propone come governo del cambiamento, ma è nato all’insegna della peggior logica compromissoria in mezzo a veti incrociati, ripicche, trasformismi e furbizie. Vorrebbe essere una risposta alle paure dei cittadini, mentre in realtà le aumenta, le alimenta e le strumentalizza. Punta, sul filo del rasoio dell’incostituzionalità, al filo diretto coi cittadini scavallando le istituzioni, ma poi finisce con l’essere di fatto un imbroglio comunicativo degno dei peggiori regimi autoritari. Si pone l’obiettivo di alzare il livello qualitativo della politica, ma invece offre un’immagine dilettantesca ed improvvisata nei programmi e nei protagonisti. Nasce nell’ideologia sovranista e populista, ma non ha il coraggio e la possibilità di andarvi fino in fondo e si rifugia nel tira e molla tra europeismo, antieuropeismo ed euroscetticismo.

Tuttavia l’equivoco più curioso consiste nel suo populismo, vale a dire nel puntare sul disamore verso la politica con parole d’ordine roboanti quali “onestà”, “sicurezza”, “lavoro”, “concretezza” e simili. È un governo che “pattona” l’Italia e la tratta da paese di serie B pur vagheggiando una promozione in serie A. Ebbene, quando i rimproveri, sostanzialmente identici ai propri, arrivano dall’esterno, vale a dire da autorevoli esponenti europei, vengono sdegnosamente rinviati al mittente. In fin dei conti cosa ci chiedono dall’Europa? Di essere più onesti, più impegnati, più seri, più razionali. Apriti cielo! Scatta l’orgoglio nazionale: come si permettono, si guardino allo specchio, si puliscano la bocca, si vergognino, etc. etc.

È pur vero che siamo tutti portati ad accettare con fatica i rimbrotti a livello familiare ed a respingere quelli che arrivano dagli estranei. Se posso permettermi di andare contro corrente, tutto sommato mi sento però di dare più ascolto alle bacchettate europee che non a quelle grillo-leghiste. Scandalosamente concedo maggiore attenzione alle disposizioni dell’amministratore del condominio che non a quelle dei miei finti parenti: dalle prime so almeno come difendermi, verso le seconde mi sento piuttosto disarmato e frastornato.  In poche parole la dico grossa: preferisco Juncker e Oettinger a Salvini e Di Maio.  Ho detto, clamorosamente e brevemente, tutto!