I polli del dopo-Renzi

Non capisco il nesso d’acciaio che i commentatori politici fanno tra crisi del PD e responsabilità negative di Matteo Renzi. IL tradizionale elettorato di sinistra è vedovo da tempo dell’ideologia comunista, della piazza sindacalista e della lotta estremista. La risposta a questo disagio doveva essere il Partito democratico, vale a dire la fusione (calda o fredda) tra linee progressiste e riformiste provenienti da comunismo, socialismo e cattolicesimo democratico (sinistra DC e non solo). Non ha funzionato perché il mondo ha rimesso tutto in discussione, diminuendo drasticamente le risorse a disposizione dello stato del benessere e scoprendo il fianco alla sinistra.

Matteo Renzi ha avuto il merito e il pregio di capirlo e di tentare un forte rilancio del PD sul piano della capacità di governare, coniugando solidarismo e modernismo. Ha inizialmente ottenuto un notevole consenso, poi, strada facendo, il consenso si è disperso per indubbi errori suoi, ma anche per i colpi di coda dell’inconsolabile establishment della sinistra, nonché per le impazzite dinamiche socio-economiche. Renzi ha inteso dare un segnale forte di governo, che è stato equivocato e recepito come segnale di “uomo forte”; ha voluto imprimere una svolta riformista partendo dalle istituzioni, che è stata respinta come tentativo di cambiare costituzionalmente la natura della nostra democrazia repubblicana; ha tentato un ricambio della classe dirigente, che è stato demonizzato quale golpe familistico e castale.

Certo l’azione politica renziana non è stata accolta, non è stata capita, non è stata condivisa, è stata osteggiata persino dai suoi più diretti beneficiari. Tentativo fallito da cui ripartire e non da buttare rancorosamente nel cestino. I presupposti rimangono validi. La sinistra, nonostante tutto, deve accreditarsi come forza di governo e non può ripiegare su atteggiamenti alla Jeremy Corby, attuale leader del partito laburista inglese; il Partito democratico deve pensare seriamente a rivedere l’assetto istituzionale e non può ripiegare sulla difesa oltranzistica e inconcludente della Carta Costituzionale; il PD deve cogliere l’essenza dei problemi socio-economici del Paese per collocarli nel quadro europeo e mondiale e non può ripiegare sull’illusione di risolverli in una logica populista o sovranista; i democratici devono rinnovare profondamente la loro classe dirigente e non possono ripiegare sul riciclo ideologico e burocratico di una dirigenza che ha fatto il suo tempo.

La sorte di Renzi è legata in parte alla sua spinta profetica e, come ben si sa, i profeti, prima o poi, fanno una brutta fine; è condizionata da un certo isolamento di gruppo venutosi a creare e che gli si ritorce contro come un boomerang; è segnata da numerosi errori il più importante dei quali è consistito nel volersi mettere testardamente e presuntuosamente contro tutti. Non gli resta che farsi veramente da parte. Dopo di lui non c’è il diluvio, ma non vedo grandi personaggi all’orizzonte. Probabilmente uno degli errori renziani è stato di voler spingere troppo sull’accelerazione leaderistica in un mondo, quello della sinistra, che si diverte più a distruggere che a costruire.