Un governo a rischio pirandelliano

Una delle gratificazioni presenti nel mio lavoro era quella di poter combinare la preparazione tecnica e l’esperienza professionale con la sensibilità dal punto di vista sociale (la cooperazione) e con l’impegno di carattere politico seppure non a livello partitico ma a livello di un’organizzazione imprenditoriale al cui servizio mi onoravo di operare (da funzionario). Ricordo come, assieme ai colleghi delle altre province, ironizzavo, durante certe riunioni, sul diverso profilo tecnico e politico imposto dagli argomenti affrontati. “Ora interrompiamo brevemente la riunione, dicevo, usciamo un attimo, ci cambiamo l’abito e poi rientriamo e continuiamo la riunione”.

Il mix tecnico-politico, probabilmente la cifra caratteristica del nuovo governo, non mi scandalizza affatto. Il problema sta nel fatto che la “tecnicalità” del presidente del consiglio e di alcuni ministri non servirà ad irrobustire la politica, ma a coprirne le contraddizioni e le magagne. Mi viene in mente la barzelletta del colloquio tra un avvocato e il suo cliente durante il quale vengono passati in rassegna i vari punti della causa. Il legale di fiducia, quando affronta i punti forti della sua impostazione, dice con una certa enfasi: «Qui vinco alla grande!». Quando arriva a toccare i punti più deboli, afferma sconsolatamente rivolgendosi al cliente: «Qui lei la prende in quel posto!».    E l’attonito e perplesso cliente ribatte: «Com’è questa faccenda? Quando si vince il merito è suo…quando si perde la prendo nel …. io…». Forse succederà così nel nuovo governo tra politici e tecnici, anche se molto probabilmente a prenderla in quel posto saranno gli italiani.

Non si tratta di un governo di cambiamento, ma di equivoco comunicativo. Il programma cambia e cambierà in continuazione: niente di male, ma il programma è diventato un contratto, e quindi per cambiare un contratto occorrerebbe la comune volontà delle parti, mentre nel caso in questione saranno soprattutto le bypassate condizioni oggettive di vario ordine a imporre un accordo camaleontico. Quello che non sarà possibile fare sarà colpa dell’Europa, dei poteri forti, del sistema in oltranzistica difesa, della tecnica prevaricante sulla politica. Ciò che verrà mantenuto sarà invece tutto merito dei partiti di governo e della loro volontà di innovazione. Quello che si sarebbe definito confusione programmatica viene spacciato per attenzione ai contenuti ed ai bisogni dei cittadini, che vengono prima dei vincoli e dei limiti oggettivi. Quello che si sarebbe spregiativamente bollato come inciucio, come accordo di potere tra forze diverse e talora persino alternative, viene rivalutato a compromesso ai livelli più alti, mentre in realtà il tutto avviene tra chi sostiene tesi opposte e trova il collante non tanto nella spinta degli elettori, ma nella opportunità di sfruttare l’aria che tira. Mi si perdonerà la digressione pirandelliana: sarà il governo del così è se vi pare, dei ministri in cerca d’autore, del giuoco delle parti, della recita a soggetto e speriamo non si arrivi al governo che non è una cosa seria.

Lasciateci lavorare! Ma certo, e chi lo potrà mai vietare. Il Presidente della Repubblica non lascia giustamente trasparire le sue perplessità: sta prendendo tutte le precauzioni del caso, come si fa quando si inizia una terapia piuttosto invasiva e piena di controindicazioni. Intende mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità, anche se mi sembra non possa andare molto oltre quel che faceva mio padre, quando saliva in un’auto guidata da una persona sconosciuta. Si fidava del prossimo con una giusta punta di scetticismo ed a chi gli forniva un “passaggio” in automobile, se si trattava di persona sconosciuta o che non gli ispirava troppa fiducia, era solito chiedere: “ Sit bon ad  guidar”. Naturalmente l’autista in questione rispondeva quasi risentito: “Mo scherzot?!”  E mio padre smorzava sul nascere l’ovvia rimostranza aggiungendo: “Al fag parchè se pò suceda quel, at pos dir dal bagolon”.