Il Fico secco del moralismo politico

In quel di Napoli la collaboratrice familiare di Roberto Fico, novello presidente della Camera dei Deputati, darebbe una mano alla compagna dell’esponente grillino asceso alla terza carica dello Stato, ma lavorerebbe in nero in quanto amica di famiglia. L’interessata avrebbe invece confermato un vero e proprio contratto di lavoro con orari e turni. La “strabiliante notizia” delle Iene non mi sorprende e non mi scandalizza, non mi fa né caldo né freddo, non diminuisce e non aumenta la mia (disi)stima verso il M5S ed i suoi rappresentanti, non è una questione né di destra né di sinistra (ormai oltre alle mezze-stagioni i luoghi comuni si sono portati via anche le differenze fra destra e sinistra).

Il problema sta nel fatto che gli specialisti dell’anti-politica pongono una irrinunciabile pregiudiziale alla politica nel rigoroso rispetto delle regole etiche: se manca quello casca tutto il castello. E allora, come la mettiamo? Ammesso e non concesso che l’indiscrezione scandalistica corrisponda al vero, Roberto Fico, stando al moralismo di matrice grillina, dovrebbe dimettersi o almeno difendersi pubblicamente. Lo farà? Probabilmente finirà tutto in una bolla di sapone; resta il dubbio, non tanto sull’inquadramento previdenziale della colf in questione, ma sull’immacolata concezione del nuovo Presidente della Camera.

Se devo essere sincero non ne posso più di questo scandalismo da quattro soldi. Anche perché, dal momento che è palesemente pretestuoso e fazioso, si applica con cattiveria solo contro certi partiti mentre fa il mero solletico ad altri. Pensate cosa sarebbe successo a parti invertite: se alla Presidenza di Montecitorio fosse salito un esponente del Pd e fosse stato colto con le dita nella marmellata, cosa e quanto avrebbero sbraitato i cinquestelle, arrivando magari a chiedere una commissione d’inchiesta sulle colf di tutti i parlamentari di vecchia e nuova nomina.

Oltre tutto a volte si fa una certa confusione tra il sacrosanto diritto/dovere di un parlamentare ad occuparsi di certe questioni – vedi il salvataggio di un istituto di credito, di un’azienda, di un ente – che toccano comunque gli interessi dei cittadini elettori, e il lobbismo o addirittura l’interesse privato in atti d’ufficio o, ancor peggio, lo strisciante conflitto di interessi. Abbiamo tollerato contraddizioni pazzesche, abbiamo fatto finta per anni di non vedere la trave nell’occhio berlusconiano e oggi, improvvisamente, ci appassioniamo alle pagliuzze di tizio e caio.

Non intendo sottovalutare la questione morale, la pulizia etica, la trasparenza, la correttezza: esigenze giustamente sentite e sbandierate. Non sopporto tuttavia il tenere la politica sotto l’insistente ed insistito scacco e ricatto moralisteggianti. La questione morale si risolve alzando il livello della politica, non facendone un esercizio retorico di perbenismo formale. La vigilanza sul comportamento dei politici non si esercita con il qualunquistico pregiudizio e le gogne piazzaiole, ma facendo funzionare seriamente le istituzioni e gli organi di controllo.

Diverso tempo fa, quando stava emergendo alla grande il marciume della politica, un mio conoscente mi pose un quesito piuttosto retorico e provocatorio, ma comunque serio: è più qualunquista il politico che ruba o il cittadino che di fronte a certi comportamenti si schifa della politica in genere? Grande è la responsabilità di quanti svolgono pubbliche funzioni, ma grande è anche la responsabilità del cittadino, che giudica e non può e non deve farsi fuorviare dalla smania di fare d’ogni erba un fascio.   Attenti a non votare solo con le fedine penali in bella vista: a un politico si chiede di avere il certificato penale in perfetto ordine, ma anche di essere preparato, competente, capace, impegnato, esperto. Il governo degli onesti non è una utopia per imbecilli, come sosteneva Benedetto Croce. È soltanto una pregiudiziale esigenza su cui innestare tutti gli altri requisiti della classe politica.