Il bis elettorale a rischio stecca

In questi travagliati giorni della politica italiana, dal momento che si avvicina con sempre maggiore probabilità una nuova ravvicinata consultazione elettorale con una campagna propagandistica ancora peggiore di quella da cui non siamo ancora totalmente usciti, ci si interroga sul grado di comprensione dell’elettore medio rispetto a quanto è avvenuto e sta avvenendo: perché si ritorna alle urne, chi ha la responsabilità dell’ingovernabilità, cosa vogliono fare i partiti al di là delle promesse, quali prospettive ha di fronte l’Italia, qual è il futuro del Paese nei rapporti con l’Unione Europea, quali problemi sono prioritari per l’interesse nazionale e via discorrendo.

Molti autorevoli commentatori temono che l’elettorato si possa fare ulteriormente sviare dalla rissa populista che sta montando: i partiti usciti vincitori (?) dalle urne del 04 marzo sosterranno di non essere stati messi in grado di  governare perché il sistema non vuole saperne di cambiare, giocheranno allo scaricabarile (prima hanno giocato a fare i primi in classifica, adesso cominceranno a  darsi reciproche colpe di immobilismo), chiederanno ulteriore forza per poter prender in mano la situazione, arriveranno quasi sicuramente a dare colpe al Presidente della Repubblica, ai poteri forti annidati a Roma e Bruxelles, a papa Francesco che continua a predicare accoglienza agli immigrati.

Non è sicuramente facile districarsi nella baraonda parolaia e quindi in molti sono portati ad assolvere l’elettore, smarrito tra ideologie morte e sepolte e un mondo in rapido e continuo cambiamento, dando la colpa alla politica sempre più difficile da capire e giustificando quindi il ripiegamento elettorale del cittadino su risposte troppo semplici a problemi troppo difficili. Non la penso così. Non bisogna avere la laurea in giurisprudenza per capire che, stante il nostro sistema istituzionale, si va ad eleggere il Parlamento, che dovrà poi legiferare ed esprimere un governo: non si vota per il premier, non si vota per un governo, si vota per eleggere i propri rappresentanti nelle due Camere e sono loro che dovranno mettere in moto tutto il discorso.

Non occorre un provetto giurista per sapere che il nostro sistema elettorale (salvo modifiche assai improbabili) è sostanzialmente proporzionale e quindi garantisce una certa rappresentatività, ma non l’automatica governabilità, e quindi chi esce premiato dalle urne non potrà automaticamente governare salvo il raggiungimento di alte percentuali di voti (allo stato attuale piuttosto improbabili).  Non è necessaria la laurea in economia con tanto di master per comprendere che per governare decentemente bisogna avere i conti in ordine, non perché lo esige la UE ma perché lo impone la diligenza del buon padre di famiglia, e che quindi certe sbandierate riforme sono irrealizzabili se non accompagnate da precise e realistiche coperture finanziarie.

Non ci vuole un esperto di rapporti internazionali per rendersi conto che l’Italia non è un’oasi in cui fare e disfare quel che si vuole, ma un vaso, forse di coccio, in mezzo a vasi, forse di ferro, e che quindi bisogna pensare di fare quel che si può. Non è necessario essere un sociologo per capire che il nostro sistema pensionistico deve necessariamente alzare l’età pensionistica in corrispondenza dell’aumento dell’età media delle persone e che quindi le promesse di mandare tutti in pensione il più presto possibile assomigliano a quelle di quel comiziante che arringava le folle con la prospettiva di lavorare un mese all’anno (al che il solito pierino chiese quando si sarebbero fatte le ferie…). Non necessita un esperto in materia demografica per prendere atto che i flussi migratori sono inevitabili e che non possono essere esorcizzati, non solo per motivi umanitari ma per ragioni oggettive: un conto è impegnarsi a governare questi fenomeni un conto illudersi di chiudere le frontiere, alzare muri, rimpatriare sic et simpliciter migliaia e migliaia di immigrati.

Non occorre un criminologo di fama per comprendere che il discorso della sicurezza, pur essendo una sacrosanta esigenza dei cittadini, non può trovare soluzione tramite la indiscriminata criminalizzazione degli immigrati, con la licenza di uccidere per il cittadino a rischio, con il semplice inasprimento delle pene, con le carceri ridotte a lager, con le ronde padane o con lo stato d’assedio. Il problema esiste, eccome, ma deve essere affrontato in un quadro realistico e non sui tavoli dei bar sport.

Per votare con buon senso e saggezza basterebbe mettere a frutto in positivo un decimo dell’acume che gli italiani dimostrano di possedere quando fanno la dichiarazione dei redditi o quando, comunque, aggirano con grande abilità e padronanza diversi obblighi di legge. Ritengo quindi che il voto pressapochistico non sia dovuto alle tecnicalità, alle lusinghe ed alle complicanze della politica, ma alla comoda e sbracata protesta, che oltre tutto, molto spesso, non viene da chi ne avrebbe veramente i motivi.  La gente deve capire che i problemi non si risolvono con una croce sulla scheda elettorale senza capire cosa sta dietro i problemi, dietro la scheda elettorale e quel che viene dopo le elezioni. Parole, parole, parole, diceva quella bella canzone di Mina. Votare, votare, votare, dice l’inconcludente refrain dei finti tonti dell’antipolitica.