Adelante Conte, sed cum iudicio

La parola d’ordine è “cambiamento”. A parte il fatto che cambiare a volte non serve a nulla o addirittura significa peggiorare le situazioni, a parte il fatto che si può cambiare tutto per non cambiare niente, a parte il fatto che cambiare tanto per cambiare è solo un inganno, vediamo cosa effettivamente starebbe cambiando con la formazione del nuovo governo bicolore giallo-verde.

Innanzitutto si sarebbe partiti col piede giusto e cioè dal programma ridefinito “contratto”. Vorrei che mi si spiegasse quale governo non è partito dal programma. La mia memoria non mi aiuta: ho sempre sentito parlare, anche troppo, di programmi, poi magari regolarmente ridimensionati o disattesi, ma questo è un altro discorso, che solo il tempo rende noto. La novità quindi starebbe nel chiamarlo riduttivamente “contratto”?  Ma fatemi il piacere…

Altra novità sbandierata sarebbe quella di avere messo in primo piano i bisogni degli italiani e non gli interessi dei partiti. Ma cosa vuol dire? Cerchiamo di essere seri: la politica si serve dei partiti per interpretare e risolvere i problemi della gente. Dove sta la novità? Che gli interessi del M5S e della Lega coincidano con quelli del popolo italiano è tutto da dimostrare nei fatti, non basta proclamarlo a parole ed ancor meno non basta promettere l’impossibile. Quest’ultima sembra essere purtroppo la vera novità!

Poi ci sarebbe la novità del mandare a “cagare” l’Europa. E chi non vorrebbe mandare a quel paese il capo-ufficio che ti stressa, il vigile che ti multa, il coinquilino che disturba, l’insegnante che ti appioppa un quattro, persino il genitore che ti rimprovera continuamente. Solo che, se ci pensi un attimo, di tutti questi soggetti non puoi fare a meno e dal loro comportamento dipende anche il tuo. Ragion per cui bisogna impostare questi rapporti in positivo raccogliendone i frutti buoni, ricordando che di tutti questi soggetti si ha un gran bisogno.

Ulteriore grande novità consisterebbe nel non farsi condizionare dai conti della serva. In tutte le famiglie si discute, ognuno propone quel che più gli aggrada, ma poi bisogna fare i conti con le disponibilità e fissare, magari anche litigando, limiti, priorità, condizioni, patti. E chi non li osserva deve essere ripreso, senza che debba necessariamente minacciare di scappare di casa, sbattere l’uscio, gridare e imprecare alle regole. In questi giorni ho sentito rispondere in malo modo a chi si permetteva di chiedere dove si sarebbero trovati i fondi per finanziare le tante promesse. Ci sarebbero in ballo oltre cento miliardi. “Ma questi sono i conti della serva” si risponde piccatamente. Ma è la serva che fa la spesa e se non gli diamo i soldi sufficienti non ci può saltar fuori.

Dalle prime dichiarazioni del presidente del consiglio incaricato, Giuseppe Conte, si capiva chiaramente che il lungo iniziale colloquio col Presidente della Repubblica era stato improntato al tenere i piedi per terra, ad usare la diligenza del buon padre di famiglia, a non gettare via il bambino assieme all’acqua sporca, a non sfondare i bilanci, a non sottovalutare gli equilibri internazionali, a non mettere il carro davanti ai buoi. Qualcuno vaneggia e confonde le garanzie costituzionali esemplarmente interpretate da Mattarella con la difesa d’ufficio del sistema e dell’establishment. Sono le grida demenziali a cui purtroppo gli italiani stanno dando retta, confondendo capre e cavoli, novità e baggianate, fantasia e sogni, serietà e illusioni.